Και μάλλον Έλληνες καλείσθαι...

"Και μάλλον Έλληνες καλείσθαι τους της παιδεύσεως της ημετέρας ή τους της κοινής φύσεως μετέχοντας" ΙΣΟΚΡΑΤΗΣ

(“Siano chiamati Elleni gli uomini che partecipano della nostra tradizione culturale più di quelli che condividono l'origine comune” ISOCRATE)

29 aprile 2012

La tragedia greca, oggi. Intervista a Ioanna Karistiani, di Paola Maria Minucci

PAOLA MARIA MINUCCI INTERVISTA IOANNA KARISTIANI



«Gli artisti hanno saputo vedere la meschinità e l'inadeguatezza del sistema politico, la caduta dei valori, l'ansia di trovare una soluzione». Una intervista con l'autrice di «Ritorno a Delfi»
Ho incontrato Ioanna Karistiani circa un mese fa, nel bel mezzo delle più infuocate manifestazioni di piazza. Il luogo dell'appuntamento era la libreria della casa editrice Kastaniotis, l'editore che ha pubblicato e continua a pubblicare tutti i suoi libri. Le strade di Atene che ho percorso per arrivarvi hanno aperto uno squarcio loquace sulla situazione economica e sociale della Grecia di oggi. Negozi chiusi uno dietro l'altro, avvisi di vendesi e affittasi, ingialliti dalla pioggia e dai giorni passati, in mezzo alle polvere e alle cartacce, spesso con le vetrine in frantumi. Nessuno fa più caso a questi annunci ormai inflazionati. Con queste immagini negli occhi sono arrivata all'incontro con Ioanna Karistiani, una delle voci più note nel quadro della narrativa contemporanea greca, autrice di una decina di romanzi, di cui cinque tradotti in italiano. 


Come è, vista dall'interno, la crisi che ormai da alcuni mesi soffoca la Grecia? 

Dell'attuale situazione in Grecia, e più in generale in Europa, parlano i numeri. Le percentuali d
ella disoccupazione nell'Unione Europea sono impressionanti: quasi il 24% in Spagna e il 19,9% in Grecia - mi riferisco alla disoccupazione registrata perché quella non registrata si avvicina al 30%. Penso che l'odierna Unione Europea non abbia il volto della famosa signora Merkel ma quello dello sconosciuto disoccupato. Tutte le dita sono puntate contro la Grecia: finita l'epoca dei sacri allori, ora si trova a essere esposta a una generale denuncia. In realtà il vero problema è il fallimento dell'Unione Europea che in questa crisi ha dimostrato di essere un organismo instabile e precario. In questi anni il sistema politico in Grecia ha trovato il modo di arricchirsi con i bagliori dei Giochi Olimpici, ingannando il mondo intero. E tutto questo è sembrato strano prima di tutto a noi greci perché negli ultimi duecento anni, dopo il dominio turco e quei lunghi secoli di dominazione, siamo passati attraverso le guerre del 1877, il conflitto balcanico, poi c'è stata la catastrofe dell'Asia Minore, la seconda guerra mondiale, quella civile, l'emigrazione di massa, la dittatura. Ci eravamo convinti che il nostro destino fosse la privazione, la dipendenza dagli stranieri, le anomalie politiche. 
Ma a un certo punto tutto questo è cambiato...
Sì, con ritmi molto veloci dalla casa povera senza riscaldamento e senza mobili si è passati alla possibilità di avere una casa migliore, prendendo dalle banche prestiti che venivano dati con grande facilità. Un intero popolo si è perso in questa facilità di erogazione di beni, in precedenza inconcepibili per un greco dalla vita stentata. Ancora negli anni ottanta, l'unico ornamento sulle pareti delle case - senza riscaldamento, né divani, con un pollaio e un orticello - erano le fotografie a colori dei familiari emigrati in Germania, che posavano davanti all'automobile nuova, di quelli emigrati a Baltimora che posavano davanti al barbecue in giardino, dei parenti volati in Australia che posavano nelle loro gite con le giacche da sci. Questo era l'unico ornamento. Da un certo momento in poi però anche i greci - con i loro bravi prestiti sulle spalle - hanno potuto mandare le fotografie ai famigliari all'estero. Molti greci si sono fatti il passaporto, non per andare a lavoro nelle miniere di carbone del Belgio e in Australia, ma per viaggiare all'estero come turisti. Non erano la maggioranza dei greci quelli che si erano acquistati beni materiali incredibili e ogni sera andavano nel locali di bouzouki, questa è una falsa immagine. La grande maggioranza non è formata da fannulloni e avventurieri, ma da persone che hanno lavorato duramente, che non avevano ville con piscina o yacht e che oggi sono tutti in una situazione drammatica: le loro case sono vendute all'asta. In cosa hanno sbagliato? ce lo spieghi il signor Pangalos che dice: «I soldi ce li siamo mangiati tutti insieme!». Qualcuno ha visto qualche briciola? In questo momento il prezzo più caro non lo paga il sistema politico ma il cittadino e per primo il pensionato più povero, ormai costretto a vivere con i centesimi.
Ma i ricchi sono chiamati a pagare? Le loro proprietà vengono tassate, non è così?
No, non pagano. I ricchi hanno portato i loro soldi all'estero e non sapremo mai se sono stati tassati, quanti sono questi soldi e se torneranno mai in Grecia. Le ville, le case e i colossi alberghieri costruiti a Mikonos, a Paros e a Santorini erano stati intestati a società offshore, perché il capitalismo stesso aveva escogitato mille maniere per venire incontro alla propria clientela: i paradisi fiscali. Qualcosa che un semplice operaio, un impiegato statale, un dipendente privato, un libero professionista (come noi scrittori che ci troviamo ora in grande difficoltà perché nessuno ci paga più) non possono fare. Non ci è passato mai per la testa. E le tasse le abbiamo sempre pagate normalmente. Quelli che oggi hanno un grave problema economico in Grecia sono quelli che non hanno nessuna colpa e sono anche quelli che si pongono un problema di coscienza. Non mi piaceva quando osannavano ingiustificatamente il mio paese, non mi piace ora che umiliano il popolo greco. Voglio giustizia. In Grecia da decenni paghiamo un mare di soldi per gli armamenti come se fossimo in una continua guerra non dichiarata. Abbiamo comprato carri armati senza ricambi dalla Germania, abbiamo comprato aeroplani senza radar, abbiamo comprato sommergibili che affondano, a riprova che il nostro sistema politico è un sommergibile che affonda, ma ai miei occhi è la dimostrazione che anche i dignitari dell'Unione Europea sono un sommergibile che affonda. 
In che maniera la situazione della Grecia potrebbe migliorare? 
Stiamo vivendo situazioni inedite, come se fossimo sottoposti a una valanga, un capovolgimento dopo l'altro, come se non funzionasse niente. Viene smontata giorno dopo giorno non solo tutta la nostra vita, non solo il mondo come lo conoscevamo, ma anche il futuro, non ci sono più certezze. Come nel 1973 in alcune città degli Stati Uniti, in quattro giorni c'erano stati 163 trombe d'aria che avevano raso tutto al suolo, e di recente ancora nel Kentucky e a Indianopolis altre 85 trombe d'aria hanno distrutto tutto, qualcosa di simile succede in Grecia: è andato distrutto lo stato sociale, l'organismo delle case popolari, i contratti collettivi di lavoro, l'impossibilità per gli ospedali pubblici di funzionare,nelle scuole ci sono stati casi di denutrizione, mancano i libri, non c'è riscaldamento in un inverno che invece è stato molto freddo. 
Ho sentito dire che nelle scuole i professori ultimamente non vengono più pagati. È un'informazione che risponde a verità?
In parte è vero, molti professori a contratto non vengono pagati. Regna l'indifferenza, si vedono facce scontente e insoddisfatte. Ma sono andata in più di duecento-trecento scuole in tutta la Grecia e ho visto molti professori che si danno da fare per sostenere i ragazzi. Fanno lezioni supplementari senza essere pagati, nei pomeriggi o la domenica, lezioni di recupero ai ragazzi più deboli, organizzano attività culturali, cercano di dare affetto e motivazione agli studenti. I ragazzi di oggi sono la generazione più sfortunata, non possono programmare il loro futuro, non ci sono più le passate certezze, è come una generazione finita. Cosa accadrà, proprio perché è una situazione inedita, nessuno può prevederlo con certezza. Credo che tutto debba ricominciare dall'inizio, con basi diverse e più solide. Quello che sento è che la povertà può dimostrarsi un legame molto forte, non solo per i greci, ma per i cittadini d'Europa, un legame tanto potente da andare oltre le differenze nazionali, di razza e di religione. Ho partecipato a quasi tutte le manifestazioni e qualche volta mi spaventa vedere volti incattiviti e fuori di sé, perché mi rendo conto che le cose degenerano. Ma non mi piace neppure vedere teste chine. E penso che ci sono due armi di cui nessuno può valutare la gettata: una è la povertà e l'altra è il bisogno esistenziale dell'uomo di un respiro libero, di dignità. Ho l'impressione che a un certo punto le teste chine si solleveranno all'improvviso.
Alcune manifestazioni sono state particolarmente violente, le immagini con i palazzi messi a fuoco hanno fatto il giro d'Europa. Sono reazioni spontanee?
La mancanza di prospettive, la mancanza di lavoro, di una visione per il futuro, sono secondo me la forma peggiore di violenza, capace di liberare altre forme di reazioni brutali. Me lo aveva detto un magistrato, durante i fatti del 2008, a dicembre, dopo l'omicidio del ragazzo, di Alexandros Grigoropoulou: la rabbia è la giustizia dei disperati. A quello che è successo allora ad Atene non si è data una giusta valutazione. Io credo che i ragazzi di quindici, sedici e diciassette anni vedano le cose con chiarezza. Hanno un istinto sano e incontaminato che permette loro di capire subito cosa è giusto e cosa non lo è. Chi è colpevole e chi innocente. E molte volte la loro ribellione, quando si accumulano tutti questi pesi sulle loro spalle, diventa disordinata e sfrenata. 
Queste ribellioni dunque non hanno alle loro spalle una qualche organizzazione?
No, se qualche organizzazione c'è è solo di piccoli gruppi, che hanno accumulato molta rabbia e finiscono con il rivolgerla alla distruzione. Molte volte nelle manifestazioni vedi persone di cinquanta o sessant'anni che ormai non si tirano più indietro quando accadono queste cose, quando brucia una banca per esempio. Ho visto persone applaudire, perché è come se la gente ritenesse ormai che le banche sono la reggia della nostra epoca. In una società c'è forse un maggiore esplosivo della disoccupazione? Come può un uomo di cinquant'anni tornare a casa, aprire la porta, entrare in casa e dire a sua moglie e ai suoi figli «Mi hanno licenziato, non ho più lavoro!» e non c'è possibilità di trovarne un altro. C'è un'infelicità e una tragedia maggiore di questa?

A questo punto è inutile chiedere «Come va il libro in Grecia?» La risposta è implicita, mi sembra. Non c'è tempo né voglia, immagino, per i libri, per la cultura.
No, direi quasi il contrario. Non sono poche le persone che disperatamente cercano e hanno
bisogno della cultura. Proprio perché sono diventati il bersaglio, sono stati considerati ingiustamente colpevoli in massa i greci come imbroglioni, fannulloni, buoni a nulla e scansafatiche, loro cercano di nuovo la propria vita. E, inoltre, non avendo nessuna colpa, si chiedono: «forse ho sbagliato, in cosa ho sbagliato, che ho fatto?», e vanno alla ricerca della loro parte migliore. Cercano, in questa caduta libera, di aggrapparsi a qualche ramo. Per questo rappresentazioni che costano poco e che hanno un contenuto serio e profondo sono seguite da persone che hanno bisogno di sentire il calore di persone che condividono la stessa sorte. I ricchi non vanno a vedere questi spettacoli. Non vanno a sentir parlare di una raccolta poetica. Ci sono insomma persone che cercano di fare qualcosa. Ora nascono mercatini in cui si vendono libri a prezzi bassi e sono tante le persone che se ne vanno via con quattro o cinque libri comprati per pochi spiccioli. Cercano dunque di scoprire la loro parte migliore per ricostituire una vita su basi migliori, per avere uno sguardo critico su loro stessi, sul potere, su quanto accade. C'è bisogno di questo.
È interessante ad esempio che il Centro del Libro abbia promosso quest'anno un nuovo programma di finanziamento della traduzione. Dall'altra parte il ministero della cultura continua a dare borse di studio a ragazzi stranieri per venire in Grecia a imparare la lingua. Ci sono contraddizioni inattese, all'apparenza incomprensibili.
Il ministero della cultura in Grecia, in particolare, deve dare ai teatri le sovvenzioni che annualmente ammontano soltanto a tre milioni, che non è una grossa cifra. Ci sono molti teatri in Grecia, buoni gruppi, delle rappresentazioni di qualità. Ogni anno si fanno da dieci a quindici rappresentazioni di ottima qualità. I soldi sono pochi, da tre anni ormai non danno più niente. Il Centro greco del cinema ha praticamente chiuso i battenti, non pagano il dovuto, lo Stato deve rimborsare l'iva ai produttori cinematografici da due o tre anni, non riesce a far fronte agli impegni presi. Anche, l'Ert, il canale principale della televisione greca, non paga più. Nessuno ci paga più. Ed è saltato anche il Festival di Erode Attico e il Festival di Epidauro, secondo quello che hanno scritto i giornali qualche domenica fa e questo segna una sconfitta davvero pesante anche per chi non andava a Epidauro. È un'altra conferma del fatto che ormai non esiste più quello che credevamo il nostro paese. E tutto questo ci arriva come l'ennesimo schiaffo dopo la festa fatta con le Olimpiadi. La festa che ha distrutto la nostra economia, ha ingannato grandi e piccoli, ha presentato un'immagine falsa, che non aveva nessuna copertura finanziaria, che non ha lasciato infrastrutture. Le Olimpiadi non sono state la festa dell'atletica, ma delle imprese.
In questo momento ci troviamo ospiti di una casa editrice. Qual è la situazione dell'editoria? 
Due anni fa hanno chiuso cento librerie in tutta la Grecia; l'anno scorso, nel 2011, devono aver chiuso intorno a 150 librerie. Per una città di provincia è una grande sconfitta non avere una libreria, con i rapporti che tradizionalmente il libraio riusciva ad avere con i suoi clienti... li conosceva, poteva consigliare dei libri, potevano discutere. È inconcepibile che possa esserci una città di ventimila o trentamila abitanti o magari anche più grande senza una libreria. Negli anni dello sperpero c'è stato il boom dei colossi, si sono costruiti molti centri commerciali, sono nate molte sfavillanti e sontuose catene... In questo momento le case editrici sono messe a dura prova perché dal momento che molte librerie chiudono e che c'è una grande caduta del fatturato, non possono far fronte agli obblighi presi, le grandi catene non rendono soldi, gli scrittori non vengono pagati, gli impiegati delle case editrici e i librai non vengono pagati e gli editori che negli anni precedenti potevano avere un certo movimento, non folle ma sensato, si trovano ora in una situazione drammatica. Non è certo che tra un anno tutti questi editori ci saranno ancora. Una conseguenza immediata sarà che diminuiranno anche le traduzioni straniere e l'acquisto dei diritti d'autore, diminuiranno le edizioni di libri greci. Ma ci sarà anche un'altra conseguenza: un bravo scrittore di racconti, di romanzi, un poeta, un saggista avrà maggiori difficoltà a trovare un editore. Naturalmente le percentuali degli scrittori diminuiranno ancora e noi non so cosa faremo. Io non ho neppure un po' di terra da coltivare...
Gli scrittori, gli artisti hanno preso posizione su questi problemi solo a livello individuale? Ci sono state manifestazioni pubbliche collettive?
Negli ultimi anni quasi tutti gli scrittori e, in genere, gli artisti hanno rilasciato interviste, hanno firmato dichiarazioni, hanno dato vita a proteste collettive ma tutte queste cose, tutti questi problemi che crediamo scoppiati all'improvviso, erano già presenti nei loro libri, nella musica, nella poesia, nel cinema, nel teatro. La nostra posizione e il nostro sguardo sono stati sempre certi. Abbiamo visto con chiarezza la meschinità e l'inadeguatezza del sistema politico, il problema dello straniero, la caduta dei valori, l'ansia di trovare una soluzione, la necessità di una svolta e di un nuovo orientamento da dare alla nostra vita. Quando dico tutto ciò non penso solo alla Grecia, penso a molte nazioni che si trovano in questo momento in una condizione analoga. Mi auguro che anche voi in Italia non dobbiate vivere tutto questo, che non debba viverlo nessun altro paese. Non mi importa, preferisco che dicano che siamo l'unico paese in cui i ragazzi svengono per la fame a scuola. Non voglio che altri paesi debbano soffrire tanto. Questa vergogna posso sopportarla purché sia solo mia e non vada altrove. 


Dal quotidiano Il Manifesto del 28 aprile 2012


2 commenti:

  1. ciao da atene
    come tarantina guarda,se non lo conosci il dopolavoro filellenico su fb e altro
    http://southeurarc.blogspot.com/

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  2. Grazie, un articolo importante e illuminante.

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