Και μάλλον Έλληνες καλείσθαι...

"Και μάλλον Έλληνες καλείσθαι τους της παιδεύσεως της ημετέρας ή τους της κοινής φύσεως μετέχοντας" ΙΣΟΚΡΑΤΗΣ

(“Siano chiamati Elleni gli uomini che partecipano della nostra tradizione culturale più di quelli che condividono l'origine comune” ISOCRATE)

7 gennaio 2016

Rebetiko, manghes e buzuki

Se desiderate approfondire la vostra conoscenza della storia del mondo Rebetiko (di cui ho scritto in breve in questo post), proseguite la vostra lettura e troverete l’interessante articolo-saggio a cura di Michele Cortese. Il testo (qui in forma ridotta) è frutto di un approfondito e rigoroso lavoro di ricerca basato sulle preziose pubblicazioni di Ilias Petropulos, tradotte dallo stesso curatore dell’articolo.
Il saggio, affrontando con puntualità e passione la storia della musica rebetika, mette in luce anche aspetti storici e sociali di buona parte del Novecento greco.
Potete approfondire l’affascinante lettura di "Di rebetiko, Petròpulos, manghes e buzuki ", dai seguenti link che ospitano l’intero saggio: Academia.edu e Atenecalling.

"Il Rebetiko, cenni generali

Sulla Grecia moderna circolano molti miti. Uno di questi riguarda il cosiddetto «syrtaki», da tutti ritenuto il ballo tradizionale greco più famoso. Il syrtaki è stato composto da Mikis Theodorakis per la colonna sonora del film di Kakoiannis Zorba il greco (1964). Pochi sapranno che il soggetto del film è tratto da un libro di Nikos Kazantzakis (Βίος και πολιτεία του Αλέξη Ζορμπά, 1947). Pochissimi sanno che la canzone a cui probabilmente si è “ispirato” Theodorakis per comporre il suo brano è stata scritta intorno al 1950 dal cretese Ghiorghis Kutsurelis, e si intitola Αρμενοχωριανός συρτός. La somiglianza è tale da aver provocato una disputa legale tra i due musicisti. Il syrtaki si balla in cerchio, come tutti i συρτός (sirtòs), ma i suoi passi sono molto simili a quelli del χασάπικος (chassàpikos), una delle famiglie di balli rebetici. Il syrtaki non è un ballo popolare tradizionale. I greci non ballano il syrtaki, se non davanti ai turisti. 


Spesso si equivoca sulla complessa questione delle origini e della nascita del rebetiko. Nella presentazione del documentario di Andrea Segre Indebito, leggiamo che il rebetiko sarebbe «una musica nata dalla disperazione di un’antica crisi (la fuga da Smirne)». Il rebetiko sarebbe dunque nato dopo il 1922, cioè dopo la cosiddetta (dai greci) «Grande Catastrofe»: in due parole, la sconfitta dell’esercito greco che nel 1919 aveva invaso la Turchia e il conseguente incendio di Smirne, che provocò un enorme afflusso di profughi dal territorio turco a quello greco tra il 1922 e il 1924.
Le origini del rebetiko e dei ρεμπέτες (rebetes), i suoi interpreti, sono una questione piuttosto oscura, e ricondurne la nascita a una data precisa, a un preciso evento storico o, peggio, a un singolo personaggio, significa eludere la complessità del problema. Non pretendo assolutamente di risolvere la questione, né è possibile descriverla in tutti i suoi aspetti, ma ci sono molte cose da precisare in proposito.




Nel capitolo Απ’ το 1922 ως το 1952 (Dal 1922 al 1952) dell’Introduzione di Ρεμπέτικα Τραγούδια Ilias Petròpulos sostiene che il 1922 sia effettivamente una data importante, anche se non esattamente per la «nascita» del rebetiko, ma per il suo «apice». Nel 1922, con il grande afflusso di profughi dalla Turchia, in Grecia inizierebbe l’epoca di massima diffusione del rebetiko:

«(…) L’apice della vera canzone rebetica è durato solo trent’anni (1922 – 1952), lasso di tempo in cui si possono distinguere con facilità tre periodi.
Il primo decennio è stato dominato dallo stile smirneico, ma nessuno dei compositori noti all’epoca (Pol, Eitziridis, Dragatsis, Marinos, Karipis) è riuscito a prevalere sugli altri. Nel secondo periodo (1932 – 1940) gli uti hanno ceduto il posto ai buzuki e ai baglamàs, e le cantanti smirniote dei caffè amman ai cantanti dei tekés, con voci profonde, che erano compositori, parolieri e virtuosi del buzuki allo stesso tempo. È stato allora che il rebetiko ha rivelato, con semplicità classica, il vero mondo degli emarginati. Nel secondo periodo, l’epoca d’oro del rebetiko, spicca la figura illustre di Markos Vamvakaris – grande cantante popolare, compositore e musicista. E al suo fianco Tundas, Baghianderas, Batis, Anestis Deliàs (scomparso giovanissimo), Stratos Paghiumtzìs (detto «o Tembelis», il Pigro), Morfetas, Chatzichristos, Peristeris, Papaioannu. Infine, il terzo periodo (1940 – 1952) è quello in cui Tsitsanis ci ha regalato le sue migliori canzoni, Markos Vamvakaris cantava le canzoni di Tsitsanis e Chiotis suonava il buzuki in un disco di Charmas.
(…) Ognuno dei diversi periodi dell’epoca di massima diffusione del rebetiko appena riferiti, sebbene non costituisca un compartimento stagno, ha il proprio stile, e ogni stile è chiaramente distinto dagli altri».


Le ondate di profughi provenienti da Smirne e in generale dall’Asia Minore dopo il 1922 hanno sicuramente contribuito alla diffusione del rebetiko in Grecia, rendendo popolari nuovi motivi, come l’αμανές (in turco «gazel»), nuove scale e orchestre con determinati strumenti (uti, sanduri, violino, liuto). Molti αμανέδες sono stati incisi a Smirne e Istanbul già dai primi del ‘900. Gli αμανέδες sono davvero particolari per noi europei. Le sonorità diffuse dai profughi dell’Asia Minore influenzeranno profondamente il rebetiko, anche quando a esibirsi nei locali non saranno più le compagnie smirneiche con uti, violino e sanduri, ma quelle con buzuki e baglamàs. Sembra che a questo cambiamento abbia contribuito in maniera fondamentale il successo ottenuto dal brano di Chalkiàs Το μινόρε του τεκέ.

Nei racconti di Alèxandros Papadiamandis ambientati ad Atene Ο ξεπεσμένος δερβίσης (Il derviscio decaduto, 1896) e Ο γείτονας με το λαγούτο (Il vicino con il liuto, 1900) sono ritratti due personaggi che possiedono molte delle caratteristiche dei rebetes del XX secolo. Il derviscio canta αμανέδες, l’altro suona il liuto. Entrambi sono ottimi bevitori, con uno stile di vita non proprio “ortodosso”. Tutti e due i personaggi sono τουρκομερίτες, cioè provengono da territori che all’epoca ancora appartenevano all’Impero Ottomano. Questi racconti sono una delle testimonianze della presenza ad Atene di elementi culturali provenienti dall’Asia Minore già da prima del 1922.


In Ρεμπετολογία, Το Άγιο Χασισάκι e altri testi Petròpulos però chiarisce che a suo avviso «le canzoni rebetiche più pure», cioè le μουρμούρικα (murmùrika) circolavano oralmente già a partire dalla seconda metà del XIX secolo a Smirne, Istanbul e Salonicco, che entrò a far parte dello Stato greco nel 1912, come ad Atene: «le vecchie canzoni rebetiche sconosciute della seconda metà del XIX secolo erano chiamate μουρμούρικα (murmurika). (…) Le murmùrika sono le canzoni rebetiche più belle e più pure». In genere le murmùrika erano canzoni d’amore, e venivano cantate in prigione e nei tekès, in gruppo, su una melodia rudimentale, con distici improvvisati e recitati a turno, senza refrain. I «tekke» erano i monasteri dei dervisci. Nel gergo turco, la parola indicava un piccolo locale o una casa dove si fumava l’hashish con i narghilè. La parola è passata al gergo greco (τεκές, tekès) con lo stesso significato metaforico.

La struttura di molte canzoni rebetiche degli anni ’30 (alcune linkate in quest’articolo) conserva la struttura tipica delle murmùrika: viene cantato tre volte il primo verso e poi una volta il secondo (1-1-1-2); oppure una volta il primo verso, poi due volte il secondo, e infine ancora il primo verso (1-2-2-1). Sempre secondo Petròpulos, non esistono registrazioni di murmùrika, anche se alcune canzoni come Στην υπόγα  Ήσουνα ξυπόλιτη conservano alcune caratteristiche originali delle murmùrika, come la presenza di elementi surreali nel testo e la melodia rudimentale e ripetitiva. La parola «μουρμούρης» (murmuris) significa «bieco», «minaccioso» (sinonimo di συνάχης, sinachis), e deriverebbe dal gergo dei kabadayıer o, in greco, καπανταήδες/kapandaides, cioè capi dei νταήδες/daìdes, i «malavitosi» delle grandi città costiere dell’Impero Ottomano. Il kabadayı controllava il contrabbando di armi e tabacco, il traffico di hashish, il gioco d’azzardo e i bordelli.

Zeybek con uno strumento simile a un baglamàs 
Per parlare del rebetiko è necessario parlare anche dei suoi interpreti. Le murmùrika erano cantate sia dai κουτσαβάκηδες (kutsavàkides, sing. κουτσαβάκης, kutsavakis) di Atene che dai kabadayıer. Nel racconto Ο γείτονας με το λαγούτο di Alèxandros Papadiamandis, il protagonista canta canzoni dei koutsavàkides turche o del posto. Kutsavàkides e i kabadayıer presentano molte analogie. I kutsavàkides circolavano ad Atene nella zona di Psirìs, Plaka, Metaxurghìo e al Pireo nel periodo tra il 1860 e il 1900 circa. Le origini dei kutsavàkides sono misteriose. I kutsavàkides  avevano un modo particolare di camminare, di vestire e di vivere: «il kutsavakis era alto e magro. Non aveva mai la pancia. I capelli erano sempre impomatati per farli brillare. La riga era obbligatoria, così come il ciuffo sulla fronte, che cadeva sugli occhi. Per poter vedere l’interlocutore il rebetis spostava il ciuffo con un gesto caratteristico. I baffi erano arrotolati e rigidi, grazie alla manteca. Il kutsavakis camminava dondolando e sporgendosi su un solo lato del corpo, con la spalla sinistra alzata, muovendo solo il braccio destro. Lo sguardo era profondo e vagamente accigliato. La voce era roca a causa dell’hashish. Aveva invisibili tatuaggi su tutto il corpo, e un piccolo tatuaggio sul dorso di una mano» (tratto da Ρεμπετολογία).

Un arvanita in abiti tradizionali. 
Opera di Carl Haag. 
I kutsavàkides avrebbero ereditato molti elementi del gergo, dell’abbigliamento e dello stile di vita del kabadayı delle città ottomane. Ma i kutsavàkides assorbono parole del gergo e usanze anche dai bravi che imperversavano nell’Eptaneso a lungo dominato dai veneziani, dai μόρτηδες (mòrtides) di Smirne che fuggivano a Syros dopo aver commesso qualche omicidio nella loro città, dai başıbozuklar, cioè le truppe irregolari dell’esercito ottomano, spesso arvaniti o zeybekler (in greco ζεϊμπέκηδες, zeibèkides), che ballavano il famoso ζεϊμπέκικος (zeibèkikos). Esiste una foto che ritrae uno ζεϊμπέκης con uno strumento molto simile a un baglamàs. Il χασάπικος (chassàpikos), l’altra famiglia più nota di balli rebetici, è invece il ballo dei macellai di Istanbul, che di solito erano arvaniti e avevano rapporti con i kapandaides, quando non lo erano loro stessi. Anche molti kutsavàkides dell’Atene di fine XIX secolo erano arvaniti. I manghes comunicano in un gergo basato sul greco moderno che eredita termini soprattutto dal turco, dall’albanese e dal veneziano.

I μάγκες (manghes), o ρεμπέτες (rebetes) del XX secolo possono essere considerati gli “eredi” dei kutsavàkides. Oltre ai rebetes, c’erano anche le ρεμπέτισες (rebètisses): «la rebètissa è la donna più libera che la Grecia moderna abbia mai conosciuto. Di fronte alle rebètisses le femministe di oggi sono uno scherzo. La rebètissa concedeva le sue grazie a chi voleva, e (a volte) mostrava tendenze lesbiche. La rebètissa fumava hashish e ballava meravigliosamente. La rebètissa sapeva difendere benissimo il suo corpo e la sua dignità». I termini «mangas», «kutsavakis», «daìs», ricorrono spesso nelle canzoni rebetiche. Le parole greche «μάγκας» e «κουτσαβάκης» e il termine turco «kabadayı» oggi sono ancora utilizzati, con il significato dispregiativo di «spaccone», «gradasso», «prepotente». In turco Kabadayı è anche un cognome. Secondo quanto sostiene Petròpulos in Ρεμπετολογία l’elemento che accomuna kutsavàkides/rebetes, kabadayıer, mòrtides, bravi, zeybekler e arvaniti sono le armi. Tutti questi personaggi giravano armati o svolgevano mestieri (più o meno legali) che avevano a che fare con le armi.

In molte canzoni rebetiche si parla di coltelli, pistole, minacce e risse (…):
I due koutsavakides si sono scontrati sotto la luce tremolante della lampada. A lungo si erano insultati e minacciati in piedi davanti al tavolino del kafenìo, dove prima sedevano insieme. Nella notte senza luna, nella piazza buia, sotto la luce fioca emanata dal becco di una lampada a gas, uno aveva estratto un’enorme lama, l’altro aveva preferito tirare fuori il revolver. Il primo sul marciapiede, più in alto, il secondo in mezzo alla strada, si guardavano da lontano con ferocia, aggiustandosi baffi e capelli, scambiandosi insulti, pronti a scagliarsi l’uno contro l’altro. Le gole roche, evidentemente ben innaffiate dal vino, urlavano frasi sconnesse, i due si lanciavano astiose ingiurie, sputavano insulti, provocazioni, in un impeto di gesti e movimenti violenti. Uno con il cappello schiacciato sulla nuca, il secondo con il berretto abbassato fino alle sopracciglia, pallidi, senza gilet, con la camicia aperta sul petto, la giacca indossata da una sola manica, con una larga fascia vermiglia avvolta intorno alla vita, assumevano drammatiche pose da guerrieri, mossi dall’odio e dal furore, rabbiosi, pronti l’uno a bere il sangue dell’altro, ma senza fare un passo.
– Te la stai facendo sotto, eh, per la Madonna! Pensi che quel revolver mi faccia paura? Io butto la lama, guarda! Vienimi sotto a mani nude! Ti comporti come una donna!
– Infame! Io avrei paura di te? Butta la lama e io lascio il revolver…Cosa l’hai tirata fuori a fare?
– Che ti strilli, cornuto? Vuoi attirare l’attenzione della gente? Dove vuoi scappare? Ti berrò il sangue!
– L’uomo che mi berrà il sangue non è ancora nato! Ti caverò un occhio, infame!
Si scambiavano incessantemente insulti di questo tipo, come gli eroi omerici, scagliandosi contro terribili frasi da spacconi, cercando di intimidirsi a vicenda con le parole (…)»


Un kutsavakis. Disegno di A. Kanavakis
(...) i versi delle prime canzoni rebetiche costituiscono un miscuglio di ritornelli più antichi di canti contadini e, inoltre, di distici popolari di alcune determinate città (soprattutto Smirne).
(…) I versi delle canzoni rebetiche sono scritti in lingua semplice, con abbondanza di elementi gergali. La minuziosa conoscenza del gergo è un prerequisito indispensabile per lo studio delle canzoni rebetiche. (…) La metrica della poesia rebetica è piuttosto semplice, visto che la maggior parte delle canzoni rebetiche presenta il tradizionale verso decapentasillabo, diviso in due emistichi. La strofa del rebetiko è costituita da un distico decapentasillabo, obbligatoriamente rimato. (…) A quanto pare, il rebetiko deve molto ai ritornelli della canzone demotica, ai distici erotici delle isole, ai versetti satirici di Ioannina e alle più recenti canzoni popolari di Smirne.
(…) Sono ciecamente convinto, senza avere alcuna prova concreta, che la musica delle canzoni rebetiche sia un amalgama di riflessi melodico/ritmici dei popoli dell’Asia Minore, incorporato alle canzoni locali del territorio ellenico da una piccola casta multietnica, come erano i rebetes. Hanno fatto parte di questa casta greci, greci originari della Turchia, arvaniti ed ebrei – ma non potevano farne parte né i rumanovalacchi né i cretesi (e non sappiamo perché). La casta comunicava in greco.
Voglio credere che la grande musica ottomana dei popoli dell’Asia Minore abbia regalato al rebetiko questo colore melodico/ritmico così particolare. Un colore che, ciononostante, non può cancellare le tracce delle altre influenze arrivate in Grecia (grazie agli zingari) dall’Albania, dalla Serbia, dalla Bulgaria, dalla Romania, dalla Russia meridionale, dal Caucaso, dalla Siria (sembra che la musica e l’architettura bizantina siano nate lì), dall’Egitto, dal Maghreb e (perché no?) dalle Indie.

Zeybekler. Archivio Ilias Petròpulos, 
Gennadios Library, Atene 

I balli rebetici più noti sono lo zeibèkikos, il chassàpikos, lo tsifteteli. Potrei fermarmi qui, dato che lo zeibèkikos e il chassàpikos coprono circa l’80% del totale dei balli rebetici. (…) Lo zeibèkikos e il chassàpikos sono balli dell’Asia Minore e di Istanbul. Sembra che a ballare il chassàpikos fossero i macellai (in turco kasap, in greco χασάπης, chassapis e metaforicamente: selvaggio, assetato di sangue) durante le feste delle loro corporazioni (esnaf). I macellai di Istanbul erano arvaniti e non greci, al contrario di quanto molti amano credere ad Atene. I macellai, che disponevano di molte armi, ovviamente avevano rapporti con i kapandaides, quando non erano loro stessi kapandaides. Gli arvaniti dell’Impero Ottomano giravano per le strade esibendo provocatoriamente le loro armi. Persino i giannizzeri li temevano.

Un altro riottoso gruppo dell’Asia Minore, difficilmente caratterizzabile dal punto di vista etnico, erano gli zeibékides (in turco zeybek, plurale zeybekler), da cui anche il nome del ballo zeibékikos (in turco zeybek-oyunu). Lo zeibékis era un guerriero professionista. I sultani, per liberarsi della loro importuna presenza, a volte li esiliavano in massa e altre volte se li arruffianavano, chiamandoli di volta in volta başıbozuklar o briganti. L’abbigliamento tipico degli zeibékides era di eccezionale bellezza, e rendeva il loro ballo ancor più spettacolare.


Rebetiko, identità nazionale 
(…)
Gran parte degli elementi presenti nel rebetiko, dai versi alla musica, dal gergo dei rebetes alle loro stesse usanze e costumi, sono il risultato di fusioni di elementi provenienti da diverse culture. «Il buzuki non va identificato con la Grecia, ma con il rebetiko», scriveva Petròpulos. Mi sembra evidente, dunque, che il rebetiko non vada identificato esclusivamente con la Grecia. Certo, il rebetiko ha avuto un’epoca di grandissima diffusione in Grecia, specialmente in quartieri popolari come Karaiskakis, Trumba, Bara, ecc. Ma in Grecia la coesistenza delle etnie non cessò immediatamente dopo la liberazione dall’Impero Ottomano, e dopo il 1922 il Paese subì un forte incremento demografico dovuto all’afflusso di profughi provenienti dalla Turchia, che si stabilirono soprattutto proprio ad Atene e Salonicco. Il rebetiko travalica i confini degli Stati-nazione. Iovàn Tsaus arrivò al Pireo con la Catastrofe del ’22, e sembra che non sapesse parlare bene il greco. 
Roza Eskenazi era un’ebrea di Istanbul, Marika Ninu era armena, Michalis Ghienitsaris era arvanita, la religione della famiglia di Markos Vamvakaris, nato a Syros, era il cattolicesimo. Anche se, a quanto pare, nessun rebetis era zingaro, ατσιγγάνες e γυφτοπούλες sono le protagoniste di alcune canzoni rebetiche. 
Se interpretate correttamente, le canzoni rebetiche sono una miniera di informazioni per comprendere il mondo di una parte della società greca del XIX e del XX secolo nelle grandi città come Atene e Salonicco, o per studiare gli incroci e le relazioni tra etnie e culture che hanno interessato l’area balcanica e la penisola anatolica per secoli(…)

2. Rebetes, malavita e rivoluzione 

I manghes non hanno nessuna ideologia politica, ed è impossibile collocare le canzoni rebetiche all’interno di una determinata categoria politica. Alla fine dell’800 i kutsavàkides venivano utilizzati dai partiti come picchiatori e provocatori. Durante la dittatura di Metaxàs, Ghienitsaris venne spedito al confino sull’isola di Ios, e molti rebetes vennero confinati a Salonicco. La polizia perseguitava i rebetes, visti come dei teppisti, immorali e drogati, e chiudeva i tekès. I rebetes hanno legami con la malavita, ma non tutti i rebetes sono criminali
«(…) La malavita e la casta dei rebetes sono come due cerchi sovrapposti che non combaciano del tutto. Propongo l’assioma “uno scassinatore può essere, o non essere, un rebetis; un rebetis può essere, o non essere, uno scassinatore”, perché voglio evidenziare che fare lo scassinatore è un mestiere, mentre il rebetis ha un’identità particolare. L’identità del rebetis rispecchia la sua qualità. La qualità sociale di un rebetis si esprime mediante il comportamento di quest’ultimo. In ultima analisi, il rebetis ha rivendicato il Diritto alla Diversità. Lo scassinatore era stato emarginato dalla società, mentre il rebetis aveva scelto l’emarginazione». 
(tratto da Ρεμπετολογία



I rebetes sono una sorta di casta che comunica in un gergo basato sul neogreco, ma con parole che vengono dal turco, dall’albanese, dal veneziano. Hanno scelto di vestirsi in maniera particolare, di fumare hashish, di non sposarsi; anche se nelle canzoni chiamano le donne «τσαχπίνες» (tsachpines, seduttrici) e soffrono a causa loro, tendenzialmente sono sessisti e disprezzano le donne, eccezion fatta per le rebètisses. Durante il giorno i manghes spesso passano la giornata girando per le strade o andando a fumare il narghilè nei tekè, o ad esempio Keratòpirgos (a Keratsini, vicino al porto del Pireo, dove pare che fosse la «caverna del drago» in cui sbarca la ciurma Deliàs/Batis/Paghiumtzìs nella canzone di Ghiorgos Batis Ζεμπεκάνο Σπανιόλο). A volte le barche venivano trasformate in tekès improvvisati. La sera andavano a divertirsi al Fàliro, in taverna, o nei locali fuori città, gli σκυλάδικα (skylàdika). Alcuni manghes, come ad esempio Ghiorgos Batis e Vassilis Tsitsanis, diventarono proprietari di taverne o locali. 


I rebetes sanno di non appartenere alla classe dominante, ma non contestano il potere politico per fare la rivoluzione. L’opposizione dei rebetes al potere è individuale e piuttosto ingenua, ed è più che altro un conflitto culturale/morale. I rebetes si oppongono dunque alla morale comune, o alla guardia che vuole sequestrargli il fumo e il narghilè, o i dadi per il gioco d’azzardo, ma non a un nemico etnico o di classe – almeno, non in maniera del tutto consapevole. Il colpevole delle pene di un rebetis in genere è la «società» in generale, o l’amore per una donna – per un mangas nel caso delle rebètisses. Per dimenticare le «amarezze» della vita la soluzione è quasi sempre il narghilè, o addirittura l’eroina («πρέζα», preza). Gli eroinomani («πρεζάκηδες») sono disprezzati dai χασικλήδες (chassiklìdes), e vengono emarginati dagli altri rebetes. Nelle canzoni rebetiche si finisce in galera per l’hashish, per un furtarello o per amore ma mai, che io sappia, per motivi ideologici o politici. 


In alcune canzoni rebetiche vengono espressi veri e propri deliri di megalomania, come il desiderio di diventare primi ministri o dittatori (Ο Μάρκος προυθπουργός e Είμαι πρεζάκιας). Durante la guerra italo-greca, l’occupazione e la guerra civile, come ho già detto, circolavano canzoni rebetiche “patriottiche” o di resistenza, oppure canzoni rebetiche satiriche su Mussolini e l’esercito italiano, senza però riferimenti ideologici o politici precisi. Durante la Guerra Civile l’esercito democratico diffondeva tramite megafono alcune canzoni rebetiche come Κάποια μάνα αναστενάζει per colpire emotivamente i soldati dell’esercito nemico e farli disertare. Sotirìa Bellu era comunista e venne torturata e imprigionata durante l’Occupazione nazista di Atene. Sembra che Bithikotsis sia stato il primo interprete dell’Inno della giunta dei colonnelli, nel 1967. Nikolaos Muschundìs, noto ufficiale della gendarmeria di Salonicco, era un grandissimo collezionista di dischi rebetici e un fan di Vassilis Tsitsanis, di cui era amico e «compare». Conosceva personalmente anche altri famosi rebetes, come Vamvakaris, Paghiumtzìs e Papaioannu (cfr. Νίκος Μουσχουντής, in Το Άγιο Χασισάκι). 
(…)

Conclusione 
Le canzoni rebetiche sono inscindibili dal contesto sociale in cui sono state create e gran parte del contenuto dei versi, in particolare quelle che circolavano negli anni ’30/’40, è inscindibile dalla vita degli interpreti che hanno creato quelle canzoni, spesso autobiografiche. Inoltre è pressoché impossibile oggi replicare il contesto e l’atmosfera in cui si ballava e si cantava il rebetiko. 
Le approssimazioni o le semplificazioni intrise di retorica sono un ostacolo alla comprensione del rebetiko. Per quanto riguarda la questione delle origini, liquidarla stabilendo il 1922 come data di nascita del rebetiko a causa della Grande Catastrofe è un modo piuttosto grossolano di risolvere il problema. Ciononostante, è importante sottolineare l’influenza della cultura turca e ottomana nel rebetiko e in generale nella cultura della Grecia moderna. 




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