Και μάλλον Έλληνες καλείσθαι...

"Και μάλλον Έλληνες καλείσθαι τους της παιδεύσεως της ημετέρας ή τους της κοινής φύσεως μετέχοντας" ΙΣΟΚΡΑΤΗΣ

(“Siano chiamati Elleni gli uomini che partecipano della nostra tradizione culturale più di quelli che condividono l'origine comune” ISOCRATE)

GINA

Di Pavlina Pampoudi - Traduzione di Viviana Sebastio

    
Il suo odore mi fa bruciare le narici, che si dilatano per assorbirlo. Mi attraversa sottopelle, tutto il corpo, come un brivido. Colpisce le ghiandole. Un guaito muto, profondo, mi solletica la laringe.
Mi sento bagnare ovunque. Persino una piccola, vecchia ferita alla caviglia ha ripreso a sanguinare. Sudore, lacrime, saliva, urina, ignote secrezioni misteriose scorrono negli organi interni, persino in quell’organo che potrebbe essere l’anima, che tracima, penetra il nero e attraversa il tutto, mentre sento che sto per lasciare la mia angusta figura.

Il suo nome è Gina. Ho sentito che la chiamavano. Lei faceva finta di niente. Temporeggiava. Il nome è un intoppo, un’interruzione. Seppure più breve del cognome e dei titoli, è comunque un ostacolo temporaneo. Io non ho un nome, sono disponibile in qualsiasi momento. La morte può chiamarmi per via diretta.
Si è accorta di me. La sua pancia si contrae, del sangue stilla e si addensa in una chiazza, che fumante luccica sul freddo gradino di marmo. Ho visto un tremito sulla sua pelle. La sua soffice pelle lanuginosa, che odora d’immortalità. Che odora di trappola d’immortalità. Sento ciò che lei sente: embrioni informi che si accalcano nell’oscurità e lottano per incarnarsi. Per nascere e generare creature che genereranno altre creature, che genereranno. Non che lo vogliano, ma sono costretti. È in sospeso da secoli ormai un certo Incontro Finale decisivo, che viene rinviato di continuo – è per questo motivo che si perpetua incessante la vita. Un Incontro che tutti ipotizziamo, ma lo intendiamo in base al nostro tempo lineare, invece, è stato definito in base a quello ciclico, ovviamente. Nessuno, quindi, lo può comprendere. Non solo gli uomini, che si trovano alla fine della catena alimentare, e sono il cibo degli dèi. Non posso comprenderlo neanche io, io, che con la mia mente non mi sono mai del tutto separato dall’Uno.

Gina rimane lì, davanti a me, tremante. La ragazza che è con lei, non si è ancora accorta di niente, è troppo presa dai suoi problemi, sempre gli stessi, forse un po’ più complicati questa volta. Parla al telefonino. «No e poi no!» dice. «Non m’importa, cazzo, mettitelo in testa! Eravamo d’accordo che saresti venuto comunque!».
E scuote di continuo la chioma, anche il suo corpo ha movimenti continui e lo stesso odore di Gina. Come Gina è impaziente e costretta. 
Gina, inchiodata ai piedi della ragazza, mi manda a ondate richiami confusi, ciuffi, rossi, neri. È piccola, non sa, soffre ancora di più. Io, ci sono già passato.

Cerco di avvicinarmi come un’ombra. La mia immaginazione si espande, la mia testa arriva tra le sue zampe. A Gina scappa un po’ di pipì. Alcuni schizzi mi colpiscono il naso. Mi accecano. Mi muovo bruscamente. La ragazza si accorge di me e subito trascina Gina dietro di sé. Continua a parlare, ma mi fissa furiosa. «Devo chiudere», dice, «è arrivato un bastardo – va via! –, devo salire a casa. Va bene, chiamami sul fisso, fallo squillare». Mette il telefonino in borsa, tira fuori le chiavi, apre il portone del condominio, trascina con sé Gina, che si oppone. Sto per intrufolarmi dietro di loro, ma non faccio in tempo. Il portone mi si chiude sul muso. Rimango fuori paralizzato. Attraverso il vetro le vedo entrare in ascensore. Gina piange sommessamente. Mi raggomitolo sul marciapiede. I miei contorni svaniscono. Ritorno allo zero. Mi svuoto. Non ho più un corpo, l’inesaudito mi annulla nell’aspetto. Tutti i miei bisogni sono sospesi, non ho sete, non ho fame, non provo dolore, non ho sonno. Non percepisco più neanche l’annientamento, sotto il peso cosmico del divenire, che con la sua arroganza mi piomba addosso e mi opprime, lungo tutta l’estensione della mia infinitesimale esistenza. 

Ora ho solo ricordi, pochi. Ricordo che non esisto. Che sono un esperimento, una prova, un esercizio nello spazio, secondo le leggi dell’improbabile. Ricordo che ho desiderato, con tutta la mia nullità, di unirmi per un istante a qualcosa di eguale destino. Due mancanze intrecciate; due zeri. Il simbolo dell’infinito.
Chiudo gli occhi affinché nessuno possa più vedermi. Non la lasceranno andare. Gina non tornerà. L’alibi Gina nell’alibi Ora. Qui, sul marciapiede, morirò. Di fame, di sete, di calci, d’amore.

«Gina» è uno dei racconti presenti nell'antologia «FONES Voci dalla Grecia» pubblicata in e-book gratuito dai Dragomanni e tradotta e curata da Viviana Sebastio
Potete leggere l’e-book dal vostro pc, tablet, e-reader o smartphone, per saperne di più consultate la guida di Bookrepublic.





Pavlina Pampoudi è un’artista a 360 gradi, è: scrittrice, poetessa, pittrice, autrice radiofonica, autrice di canzoni, traduttrice e tanto altro ancora. Nella sua lunga carriera, iniziata nel 1964, ha pubblicato numerosissimi libri, romanzi, raccolte di poesie e centinaia di favole per grandi e piccini. Diverse sue opere sono state tradotte e pubblicate in varie lingue.
Pavlina vive e lavora ad Atene, ma è spesso in giro per la Grecia, per ricevere premi, riconoscimenti e, soprattutto, per recarsi nelle scuole, dove i suoi libri sono occasione di studio e di gioco. È membro della Società degli autori Greci.
Pavlina è appassionata di filosofia, ama la compagnia del suo affettuoso cane e si circonda di gatti. Ultimamente, si dedica anche alla fotografia, immortalando scorci e graffiti ateniesi. Mai banale, Pavlina regala sempre al suo interlocutore, chiacchierate poetiche e originali.


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