Dionisis Fotopoulos (Kalamata, 1953) è un noto scenografo e costumista greco.
Ha lavorato in tutto il mondo, collaborando con registi teatrali e cinematografici del calibro di Peter Stein, Luca Ronconi, Bernardo Bertolucci, Heiner Müller, Harold Pinter, Theo Angelopoulos e molti altri.
È stato amico di Odisseas Elitis, di Melina Mercouri, di Yannis Tsarouchis, di Karolos Koun, di Piero Tosi... l'elenco dei suoi amici artisti è interminabile.
È stato amico di Odisseas Elitis, di Melina Mercouri, di Yannis Tsarouchis, di Karolos Koun, di Piero Tosi... l'elenco dei suoi amici artisti è interminabile.
È Professore
onorario del Dipartimento di Studi Teatrali dell’Università Kapodistriako di
Atene ed è stato insignito della Medaglia di Gran
Croce dell'Ordine d'Onore di Grecia, per il suo contributo nell’Arte.
È un vero creativo e creatore, si dice, infatti, che sia in grado di dar vita a magnifiche scenografie anche dal nulla. È un maestro insuperato nella realizzazione di costumi di scena. Una delle sue ultime magistrali prove è visibile nel commovente film ΝΥΦΕΣ (Spose) di Pantelìs Voùlgaris e Ioana Karistiani. Potrete apprezzare il talento del costumista osservando la raffinatezza e la cura nei dettagli degli abiti di queste spose:
Fotopoulos vive ad Atene, in una bellissima casa ai piedi del Licabetto, dove incontra artisti, amici e giornalisti. Ecco le parole della giornalista Eleni Xenoy, prima di un'intervista allo scenografo: "Era seduto su un divano in pelle. Aveva un aspetto molto teatrale. Indossava abiti neri. Era quasi mezzogiorno, ma le imposte erano chiuse. Nel salone entrava un filo di luce, quanto bastava per distinguere tutti gli oggetti presenti in ogni angolo, sembravano brevi racconti di un intero decennio. Fotografie, bozzetti di costumi, suoi ritratti firmati da Tsarouchis, decine di libri… Lambeti, Koun, Minotìs, Paxinoù, erano tutti radunati lì, in un’istantanea in bianco e nero. Erano i volti magici del teatro, di coloro che avevano 'dato vita al miracolo' e che si erano trasformati ormai in una compagnia silente."
D. Fotopoulos è profondamente greco, non ha mai voluto lasciare la sua terra. Ha lavorato spesso all'estero, ha viaggiato molto, ha ricevuto allettanti proposte per una carriera in altri paesi ma le ha sempre rifiutate. "Non ho mai
accettato di lasciare il mio paese. Chi mi voleva, poteva trovarmi in Grecia", afferma perentorio.
Ha scelto di rimanere in terra ellenica anche durante la dittatura. Racconta, in un'intervista rilasciata a Marilena Astrapellou, di un grottesco episodio accaduto in quell'epoca, durante una sua collaborazione con il regista tedesco Oswald Döpke, nell'Edipo Tiranno: "Fu un’esperienza abbastanza movimentata. Il film fu girato a Tirinto, nel 1967, pochi giorni dopo la salita al potere della dittatura. Ci raggiunsero durante le riprese, perché era vietato riunirsi in più di cinque persone. Noi tutti, insieme ad attori e comparse - ovvero gli abitanti del paese - che erano abbigliati da antichi greci, fummo caricati su una camionetta militare e portati al commissariato di Nafplio. La questura si riempì di 'antichi greci', mentre un poliziotto provò a spiegare al regista per quale motivo ci ritenessero 'sospetti'…" (BHmagazine, 12/5/2013).
L'articolo successivo è di Mirto Loverdou per il quotidiano TOVIMA.
Fotopoulos racconta del suo amato rifugio a Epidauro, di teatro, di spettacoli, dei suoi ospiti celebri, ma anche dei suoi amici meno famosi, di taverne, di mare e di luoghi che esistono da migliaia di anni e che per migliaia di anni continueranno a esistere.
Ha scelto di rimanere in terra ellenica anche durante la dittatura. Racconta, in un'intervista rilasciata a Marilena Astrapellou, di un grottesco episodio accaduto in quell'epoca, durante una sua collaborazione con il regista tedesco Oswald Döpke, nell'Edipo Tiranno: "Fu un’esperienza abbastanza movimentata. Il film fu girato a Tirinto, nel 1967, pochi giorni dopo la salita al potere della dittatura. Ci raggiunsero durante le riprese, perché era vietato riunirsi in più di cinque persone. Noi tutti, insieme ad attori e comparse - ovvero gli abitanti del paese - che erano abbigliati da antichi greci, fummo caricati su una camionetta militare e portati al commissariato di Nafplio. La questura si riempì di 'antichi greci', mentre un poliziotto provò a spiegare al regista per quale motivo ci ritenessero 'sospetti'…" (BHmagazine, 12/5/2013).
L'articolo successivo è di Mirto Loverdou per il quotidiano TOVIMA.
Fotopoulos racconta del suo amato rifugio a Epidauro, di teatro, di spettacoli, dei suoi ospiti celebri, ma anche dei suoi amici meno famosi, di taverne, di mare e di luoghi che esistono da migliaia di anni e che per migliaia di anni continueranno a esistere.
EPIDAURO il Paradiso di Dionisis Fotopoulos
La mia prima casa a Epidauro si trovava in mezzo a dei bungalow abbandonati. Ci arrivavi attraverso una strada dissestata, piena di buche che distruggevano le nostre auto. Melina Mercouri è stata tra le prime persone a prendere casa lì. In seguito, la strada fu sistemata e noi fummo salvi.
Verso la metà degli anni Settanta, il Teatro Nazionale della Grecia perse la sua posizione di monopolio e, di conseguenza, al Festival di Epidauro poterono partecipare anche altri Teatri, come il Teatro d’Arte di Karolos Koun, il Kratikò (N.d.T. Teatro Nazionale della Grecia del Nord) e l’AnfiTheatro.
Durante il periodo del Festival, ci ritrovavamo tutti insieme per andare a fare il bagno in quei luoghi isolati. Ho il ricordo di un alberguccio nascosto, dove veniva anche Koun e dove insieme mangiavamo patatine fritte con uova al tegamino e pesce, proprio vicino al mare, all’ombra di un ampio pergolato.
Più in là, si distinguevano le ultime due case, che certi musicisti stranieri avevano fatto costruire negli anni Cinquanta. Una apparteneva al pianista Ashkenazy e sorgeva su una piccola baia nascosta, al di sopra della chiesetta della Madonna. L’altra era di Beckerson, un violoncellista scozzese. Entrambe le abitazioni, costruite sulla roccia e completamente isolate, distavano soli trenta metri dal mare. Sognavo di averne una. Finché non riuscii a comprare quella dello scozzese, da sua figlia… Melina mi insultò perché me ne ero andato, era convinta che lo avessi fatto per non essere più suo vicino di casa.
Ricordo che, a volte, quando facevo il bagno in quel luogo deserto, nel crepuscolo della sera, riuscivo a sentire Ashkenazy suonare Chopin… era una vera magia. Una volta, abbiamo girato un film insieme, il «Il giardino dei ciliegi» di Kakogiannis, Ashkenazy suonava Tchaikovsky al piano.
Nel corso degli anni, presero casa da quelle parti, molti altri personaggi del mondo del teatro, architetti, scrittori, scenografi. Si riempì di case tutto intorno, fino al paese di Lygouriò.
La mia casa così appartata, mi permette, ancora oggi, di rimanere solo con i miei libri, ma anche di poter godere della compagnia degli amici... dipende dal mio stato d’animo. Non ho un carrattere facile... Nel periodo degli spettacoli più importanti, nella mia casa c’è il caos. Mi raggiungono colleghi, ragazzi e ragazze, per i quali ho un debole, e molti amici. Nel corso degli anni, la mia casa ha ospitato persone con le quali ho anche collaborato, come Peter Hall, Peter Stein, Ronconi, Bertolucci, Heiner Müller, Harold Pinter, Tony Harrison, Anatoly Vasiliev e ovviamente anche molti greci. È una casa dove puoi incontrare il mondo intero. Il pomeriggio, quando il sole cala, nel silenzio o con la musica di Mahler in sottofondo, puoi vivere un’esperienza straordinaria. All’orizzonte, si vedono le isole di Egina, Angistri, Kirà, Mèthana e quando scende la sera, puoi conversare con la brezza del mare. Mi torna in mente un messaggio che Alan Bates mi lasciò dopo un suo soggiorno qui: «Ho sempre avuto il dubbio su come potesse essere il Paradiso. Ora lo so. Te ne ringrazio».
Un anno fa, ricordo, ero seduto in terrazza e fumavo la mia pipa, quando, d’improvviso, è apparso un branco di delfini che ha iniziato una danza davanti ai miei occhi… Dopo una serata ricca di teatro e di poesia antica, poter vedere anche dei delfini… ha ragione il professor Grammatikakis quando sostiene che «l’Universo è stato creato per l’uomo». Una delle cose che va riconosciuta agli antichi è che sapevano scegliere i luoghi su cui erigere i propri templi. Quando passeggi in questi posti, rifletti sui millenni che li hanno attraversati… penso al Piccolo Teatro dell’Antica Epidauro (detto il Louloùn) durante le sue prime rappresentazioni, sotto gli alberi d’ulivo, il profumo di teatro deve aver pervaso anche i luoghi circostanti.
Ogni spettacolo in questo teatro, fa avvertire la presenza di Ch. Lambrakis, nonostante la sua scomparsa, e di Irene Papas, greca bella e orgogliosa che, seduta al posto d’onore, si prende una rivincita in nome di tutte quelle donne che per secoli sono state bandite dai teatri.
Ho iniziato a lavorare a Epidauro in un’epoca molto difficile. Il rinnovamento avveniva con timore e reverenza.
Durante l’«Alceste» di Houvardàs, metà pubblico insultava e l’altra metà esclamava "Bravo!", mentre l’attrice Anna Synodinou lasciava lo spettacolo passando tra gli orchestrali e lanciando insulti. Si possono, comunque, realizzare delle cose nuove, come fece Ronconi col suo «Pluto»: spettacolo affascinante e poetico, anche se alcuni archeologi protestarono per il campo pieno di spighe e le automobili volanti... Ci sono state delle scaramucce anche in occasione di «Le Troiane» di Voutsinas, per le carcasse delle auto. Ho lavorato undici volte per «Edipo», tre volte per «Le Troiane», altrettante per «Le Baccanti», l’«Orestea»... Al contempo, ho lavorato in molti film girati da quelle parti. Ho iniziato la mia carriera cinematografica con un «Edipo» tedesco, realizzato a Tirinto. Un altro film girato nell’Antica Epidauro è stato «Το λάθος» («La smagliatura»), dal romanzo di Antonis Samarakis, con Michel Piccoli e Ugo Tognazzi.
È a Epidauro che nel tempo ho conosciuto i miei amici. Nell’arco di ben quarant’anni. Lefteris e Nikos alla taverna «Akrogiali» e poi Vasilis, Omorfoula, ormai sono tutti come miei parenti. Ci somigliamo molto l’un l’altro. C’è anche Lefteris della taverna Klimata, dove si mangiano i migliori dolmadakia…
Mi viene in mente un «Edipo a Colono» realizzato con Yannis Tsarouchis. Tsarouchis era ormai molto stanco e io lo andai a prendere in camerino, per poi incamminarci verso la salita che conduceva al teatro. Aveva problemi d’instabilità, infatti, perse l’equilibrio e mi trascinò con sé sul selciato. I ragazzi della compagnia ci videro e si affrettarono a soccorrere i due grossi uomini riversi a terra. «Bravi ragazzi miei, siete stati fortunati! Avete assistito alla caduta della Scenografia greca!».
Koun e Minotìs
Ero uno dei pochi che lavorava con entrambi i teatri: il Nazionale e il Teatro d’Arte... stavo facendo le prove per «Le Fenicie» o per l’«Edipo a Colono» con Minotìs e per «Gli Acarnesi» con Koun. Un finimondo. Quante ne dovevo sopportare... Poteva capitare che mentre Minotìs era a casa mia, casualmente, chiamasse Koun, al quale non dicevo che lì c’era Minotìs, né che di lì a poco si sarebbero incontrati... Ma quanta dolcezza tra loro! «Karolos mio!», «Alexis caro», «so quante ne stai passando anche tu...». Quante ne passavo io! Tra di loro c’era cortesia e rispetto. Solo che ciascun era convinto di dover salvaguardare la propria scuola. Con Minotìs avevo un rapporto cordiale, non proprio di amicizia, ma di profonda stima... con Koun era tutta un’altra storia. Sentivi di appartenere a un luogo, nel quale partecipavi e del quale un piccolo pezzo ti apparteneva, ognuno poteva metterci qualcosa di proprio. Il Teatro Nazionale era, invece, più impersonale. Entrambi erano molto esigenti, anche se ognuno a suo modo. Koun aveva la passione, mentre Minotìs aveva la razionalità, che gli permetteva di raggiungere gli obiettivi. L’uno credeva che la bellezza del teatro stesse nella dignità e nella grandiosità, l’altro riteneva che la grandiosità si potesse ritrovare anche in cose di poco valore. Con Koun erano grandi liti. I ragazzi della nostra scuola ci guardavano atterriti. Koun si alzava e se ne andava, poi mi diceva «Vieni, che proviamo quello che mi hai proposto» …
Melina Mercouri era un caso a sé. Avevo fatto da mediatore, affinché ottenesse la parte di Clitennestra nell’«Orestea» diretta da Koun, per il teatro di Epidauro. Melina si prese un po’ gioco di noi. Koun l’amava e la rispettava, ma temeva il comportamento che poteva avere con la compagnia. Melina era molto esigente. Lavorammo a lungo per la messa in scena dello spettacolo, nel quale avremmo dovuto usare le maschere. E d’improvviso, Melina iniziò a patire difficoltà di respiro proprio per via della maschera. Allo spettacolo non la indossò. Koun mi guardò come per dire: «Te l’avevo detto io». L’anno dopo, al posto di Melina venne Magia Lymperopoulou e recitammo con le maschere…
Per me le vacanze andavano di pari passo con il lavoro, in un’avventura quotidiana.
La mia vacanza a Epidauro vuol dire prendere il gommone, andare a Egina per bere un caffè con Moralìs e parlare del suo nuovo lavoro… e ancora, ascoltare Ashkenazy che suona il piano oppure Lena e Keri Linn che cantano al pianoforte scordato di casa. Vuol dire la compagnia degli amici che arrivano dall’estero. È la mia casa, che si riempie di gente dopo una prima, sono gli scogli che la mattina si affollano di giovani corpi abbronzati, coperti di salsedine. È una nuova raccolta di poesie, è la mia pipa, è la musica di Billie Holiday accanto a quella di Tsitsanis.
«Tendo a credere che il buon sapore della mandorla, la pelle bruna e i capelli neri, siano le idee di cui parlava Platone», sosteneva Tsarouchis. Una vita incantevole immersa in luoghi che esistono da migliaia di anni e che negli anni continueranno a esistere.
Da TOBHMA del 18/07/2010. Di di Mirto Loverdou. Traduzione di Viviana Sebastio
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