Quel mattino Manolis non riusciva a darsi pace, l’immagine vista al risveglio gli era rimasta impressa negli occhi.
Quel mattino del 27 aprile 1941, i Tedeschi avevano occupato Atene e lì sulla rocca dell’Acropoli, al posto della bandiera greca avevano issato il loro drappo con la svastica.
Il simbolo nazista sventolava ora nell’azzurro cielo greco, ma la magnificenza e il candore dei marmi del Partenone non si accordavano affatto con il mortifero vessillo.
Una frase aveva preso a riecheggiare nella mente del giovane Manolis: “Ieri liberi, oggi schiavi”, e una rabbia crescente iniziò a galoppare nelle sue viscere mettendogli l’animo in tumulto.
Doveva far qualcosa. Se non lo avevano lasciato partire per il fronte albanese – era troppo giovane, dicevano – stavolta non si sarebbe tirato indietro. Cercò il suo amico e compagno di università Apostolos, Lakis per gli amici, di certo anche lui avrebbe trovato insopportabile la vista di quella svastica.
I due ragazzi presero una decisione, avrebbero strappato dal pennone l’incubo che ottundeva l’anima e il cielo del popolo greco.
Nella Biblioteca Nazionale studiarono le piantine dell’Acropoli e orchestrarono un piano di massima, sarebbero saliti dal versante nord-occidentale, forse il più riparato dalla vista delle sentinelle tedesche.
In una dolce notte di maggio, odorosa di ciclamino e di Egeo, Manolis e Lakis iniziarono ad arrampicarsi lungo le pendici dell’Acropoli. Guidati dalla luce della luna e di una piccola torcia, si inerpicarono silenziosi sino in cima tra le levigate rocce.
Coltello tra i denti, Manolis si aggrappò all’asta della bandiera e iniziò a salire, agile e deciso. Poi provò a tagliare il cordame che sorreggeva il drappo, si mise a scuoterlo ma la presa delle gambe iniziò a cedere e fu costretto a scendere. Le funi erano davvero resistenti e i nodi che le legavano ben saldi. Manolis non si arrese e subito risalì, ma anche stavolta la bandiera continuò beffarda a sventolare sul suo capo.
Ci riprovò Lakis. Avvinghiato al palo con le unghie e i denti di una volontà feroce, segò ulteriormente il cordame, lo strattonò ancora una volta e finalmente la bandiera cadde al suolo.
I due giovani la raccolsero e, tra soffocate grida di gioia, danzarono sotto la luna, protetti dalla dea Atena che li rese invisibili allo sguardo nazista.
Scivolando silenziosi tra i vicoli sonnecchianti della città, i due ritornarono a casa.
Manolis trovò la madre ad attenderlo in cima alle scale: «Dove sei stato fino a quest’ora, pedì mu?», esclamò preoccupata.
Manolis abbracciò la donna, le mostrò un brandello del suo trofeo e senza aggiungere altro andò a dormire, ormai quella furia del mattino aveva smesso di scalciare nelle sue viscere e nel suo cuore galoppava ora una potente emozione.
Anche il cuore di sua madre ebbe un sussulto, per via di un sospetto. La donna corse al balcone, guardò verso l’Acropoli e poi orgogliosa e commossa richiuse le imposte.