Και μάλλον Έλληνες καλείσθαι...

"Και μάλλον Έλληνες καλείσθαι τους της παιδεύσεως της ημετέρας ή τους της κοινής φύσεως μετέχοντας" ΙΣΟΚΡΑΤΗΣ

(“Siano chiamati Elleni gli uomini che partecipano della nostra tradizione culturale più di quelli che condividono l'origine comune” ISOCRATE)

6 gennaio 2012

GRECIA-ITALIA: UNA FACCIA UNA RAZZA?

 Di Diego Zandel

Quanto, dell’impossibilità di realizzare, qui in Italia, riforme strutturali capaci di modernizzare il Paese e riequilibrare il divario sociale che lo caratterizza, dipende dal sistema capitalistico in sé e quanto dalla natura degli italiani, e quanto ancora quest’ultima incide su come il sistema capitalistico italiano stesso si configura?

Una risposta si può trovare nel libro “Come la Grecia”, edito da Fandango, del giornalista greco, corrispondente della tv pubblica greca ERT in Italia, Dimitri Deliolanes .  Pur non essendo la situazione economica, e quindi la relativa crisi, paragonabile tra i due paesi - in quanto diversi sul piano della solidità economica stessa, della consistenza industriale e produttiva, diversi per estensione, numero di abitanti  e  importanza  nel contesto internazionale (l’Italia fa parte del G8) -  altri e non pochi aspetti risultano simili e, pertanto, degni di porli a confronto.

Partiamo dal clientelismo. La Grecia vive di clientelismo ed è uno dei motori per cui oggi è una delle nazioni più corrotte del mondo (è al 78° posto, l’Italia al 67°). Per anni, la destra, in assenza della presenza di una vera opposizione, per essere i comunisti considerati fuorilegge dall’agosto 1949 alla caduta della Giunta dei colonnelli nel 1974, ha fatto del clientelismo la sua arma di consenso. E’ quello che è successo  per anni anche in Italia con la Democrazia Cristiana, nel quadro del cosiddetto bipartitismo imperfetto dovuto al fattore K,  con il PCI condannato all’opposizione. Un metodo che, in seguito è stato fatto proprio anche dal PASOK, il Partito Socialista fondato da  Andreas Papandreou dopo la caduta del regime dei colonnelli, quando negli anni 80 riuscì a vincere le elezioni e a governare per quasi vent’anni di seguito.  Scrive Deliolanes: “Dopo l’iniziale impulso riformatore che andava verso la socializzazione e l’autogestione, di cui i proclami elettorali socialisti abbondavano, i governi di Andreas hanno dovuto rompere gli argini e una valanga di clientes ha invaso ogni angolo dell’amministrazione. E non solo. Andreas Papandreou aveva promesso riforme in senso socialista. Ben presto però il socialismo democratico e  autogestito si è trasformato in statalismo.”

Lo stesso è avvenuto in Italia quando la sinistra, prima con il PSI poi con il PDS/DS/PD, è entrata in quella che Pietro Nenni chiamava “la stanza dei bottoni”: fenomeno che poi, dal clientelismo spicciolo, statale e parastatale, si è esteso con  l’incentivazione nella costruzione di quelle cattedrali nel deserto a sud, tipo Gioia Tauro, Bagnoli, la  Saras  in Sardegna,  che, col miraggio dei posti di lavoro, hanno distrutto altre potenzialità economiche che una visione meno elettoralistica e clientelare  avrebbe maggiormente favorito nel tempo quei territori.
Tutto ciò non solo a livello centrale, nazionale, ma soprattutto locale, con comuni, province, regioni e società municipalizzate, le cui potenzialità clientelari, per quanto riguarda l’Italia, sono state pienamente assunte oggi dalla Lega che ben si guarda, in contraddizione con la vocazione anticentralistica e antistatalista delle origini, dal toccare quelle istituzioni delle quali, come nel caso delle province, chiedevano addirittura l’abolizione.  Non solo, a sua volta promuovendo, sempre nell’ottica clientelare, la realizzazione di analoghe cattedrali nel deserto a nord, tipo Malpensa, devastando economia, territori e spargendo inutili illusioni.

A tutto ciò s’accompagni l’intreccio con le tante corporazioni oggi presenti in Italia. Se n’è vista l’influenza  con i recenti provvedimenti di  Monti sulle liberalizzazione dei tassi e delle farmacie. In Grecia non è diverso. Relativamente ad essa, scrive Deliolanes: “Siamo arrivati al punto di chiamare spesso giustizia scandalosi privilegi di poche corporazioni, a chiamare diritti vere e proprie provocazioni verso la collettività, cultura il consumismo, imprenditoria la caccia al facile arricchimento. La produzione concorrenziale l’abbiamo intesa come caccia alla sovvenzione statale o europea, l’evasione fiscale come espressione di valore e di capacità personale. Ma una società non può andare avanti così”.
Poi, naturalmente, su tutto ci sono i potentati economici, contro i quali falliscono anche  le migliori intenzioni dei governi.  In Grecia, il premier Yorgos Papandreou, un uomo molto  onesto e dignitoso, che raccoglieva la triste eredità dei conti falsificati dal precedente governo di centrodestra,  “ci teneva molto a rispettare almeno alcune delle sue promesse elettorali, come l’aumento di un miliardo di euro della spesa per l’istruzione e di un altro miliardo per il sostegno delle categorie socialmente più deboli, circa 2,5 milioni di cittadini, secondo i calcoli del PASOK. E’ stata così programmata la diminuzione della metà dell’IVA sul petrolio destinato al riscaldamento e un contributo statale di 50 euro alle pensioni minime delle categorie più deboli. E’ stato presentato anche un progetto di legge per regolare i debiti delle famiglie più svantaggiate e delle piccole e medie industrie verso le banche” scrive Deliolanes “ma la dura opposizione dei banchieri, anche di quelli pubblici, lo ha di fatto vanificato”.
Per quanto riguarda l’evasione fiscale, Grecia e Italia se la battono per il primato in Europa. Non è un caso che “la Grecia è il paese con la maggiore percentuale di economia sommersa in Europa, seguita a ruota dall’Italia”.  Premette anche Deliolanes: “Secondo il ministero delle Finanze, in una popolazione totale di 11 milioni di persone, sono solo 15 mila i cittadini che dichiarano un reddito annuo che supera i 100 mila euro”.  In questo senso, le misure prese dal governo greco, non solo si sono dimostrate inutili, ma hanno aumentato la corruzione dei funzionari pubblici, per cui, come rivela il Wall Street Journal, in Grecia è entrata in funzione la formula calcistica del 4-4-2: “in pratica, sull’imponibile accertato, il 40% va nelle tasche degli  agenti del fisco, l’altro 40% in sconto per il contribuente e il 20% alle casse pubbliche. Per non parlare di quegli agenti del fisco che nelle ore pomeridiane gestiscono società di consulenza fiscale” .
Altro fenomeno che rende simili Grecia e Italia è quello mediatico. La Giunta dei colonnelli aveva capito, al pari di Berlusconi, le potenzialità propagandistiche dei media. Tant’è che subito dopo il colpo di stato imposero alla nascente televisione e, dopo aver chiuso i giornali di opposizione, ai  quotidiani e settimanali di puntare “principalmente sull’intrattenimento e non, ovviamente, sull’informazione, meno che mai politica”.  E’ quello che in Italia fanno le reti del cavaliere e, lui al governo, due dei tre canali RAI. Il TG1  di Minzolini è il prototipo di questo tipo di informazione, che pure nell’edizione di prima serata spaccia come informazione notizie che non sono più di semplici, banali curiosità prive di qualsiasi valore informativo.  In questo senso l’ERT greca un po’ si salva, pur con altri difetti, uno dei quali è il surplus di dipendenti anche lì assunti per clientelismo, ma  non i canali privati, che, come scrive Deliolanes, adottano un modello di tv “populista, scandalistico, irresponsabile, interessato e fuorviante”.  Continua  Deliolanes “Un uso incontrollato di aggettivi come sconvolgente, sensazionale, grande rivelazione. Di solito si tratta di notizie di cronaca date con assoluta noncuranza della sensibilità delle persone coinvolte, con immagini di solito bandite in Europa, come cadaveri pieni di sangue, il pianto disperato dei parenti, con sentenze categoriche su chi è colpevole e chi è innocente”.  Vespa e “Chi l’ha visto” da una parte, Signorini, la D’Urso, le trasmissioni di gossip dall’altra, danno idea di cosa s’intende. “Le tv commerciali greche” scrive Deliolanes, ma sottoscriviamo per quelle italiane “ sono diventate il regno dell’infotaiment, liberamente ispirato alla peggiore informazione televisiva americana, grazie a uno dei ‘teorici’ dell’emittenza privata greca: il giornalista Nikos Mastorakis, ex collaboratore dei colonnelli prontamente emigrato negli USA dopo la caduta del regime”. Filosofia alla quale, come è noto, si ispirano, in Italia, anche molti settimanali  di gossip tipo “Chi” .
Il fine, in Grecia come in Italia, è distrarre la gente dai problemi reali, non farla pensare, riflettere. In modo che il potere economico, le varie corporazioni, il solito giro dei privilegiati, continui indisturbato a farsi gli affari propri ai danni dei più. Per quanto riguarda la Grecia, va dato atto al precedente premier di centrodestra, Karamanlis  di aver  fatto votare in Parlamento una legge che rendeva obbligatoria l’identificazione chiara di tutti i soci delle società editrici e televisive, vietando a chi faceva affari con lo stato di possedere mezzi di informazione (tipo Berlusconi).
Beh,  l’esito, visto i rapporti di forza fu scontato.  I canali privati si scatenarono “in una campagna dal vago sapore berlusconiano” scrive Deliolanes, con evidente riferimento ai metodi di “Libero” “Il Giornale” e delle reti mediaset, mettendo la cosa sul piano di un attentato alla libertà di stampa. Alla fine, apprendiamo poi da Deliolanes, la cosa fu demandata alla Corte Europea, “gli editori avevano ingaggiato cinque potentissimi uffici legali britannici e olandesi. La legge non passò. E il governo Karamanlis si consegnò mani e piedi agli editori”.
Segno, anche, della mancanza di una giustizia superiore. O meglio ancora dell’asservimento della giustizia al ricco e potente.
Poi ci si chiede di certi fenomeni come il terrorismo in Grecia.  C’è altra strada? Rivela Deliolanes che un rapporto del gennaio 2011 riportava che circa 50 mila lavoratori dipendenti , privati,non hanno ricevuto la tredicesima, ma solo lo 0,5% lo ha denunciato. Gli altri hanno preferito tacere, nella speranza di conservare il posto di lavoro. Peggio ancora per i contributi: un datore di lavoro su quattro non li paga”.
E in Italia c’è chi parla dell’abolizione dell’articolo 18! La nostra classe imprenditoriale profonda e periferica, quella che evade le tasse e gira con auto di grossa cilindrata, tiene in porto barche oltre i 17 metri,  ha l’elicottero e ride alle spalle dei terremotati pensando agli affari che potrà realizzare grazie agli appalti che riceve da politici corrotti,  non ha nulla da invidiare a quella greca. E’ chiaro che bisogna invertire la tendenza, altrimenti, com’è stato scritto dalla mano di uno dei manifestanti ad Atene “In un mondo per pochi non c’è posto per nessuno”.
       
da: http://www.facebook.com/note.php?note_id=10150500724608958

2 commenti:

  1. Interessante il discorso sulle similitudii culturali.

    Pero´ un giornalista racconta e ricostruisce, la lezioncina morale non e` molto giornalistica.

    Giusto per fare un esempio:

    "...a chiamare diritti vere e proprie provocazioni verso la collettività"

    e poi

    "... E in Italia c’è chi parla dell’abolizione dell’articolo 18 ! "

    Allora, diritti o no ? Perche`Diego Zandel assume che i diritti dell´articolo 18 e quelli che chiama provocazioni siano su fronti diversi ?

    Ricordo a Zandel che l´art 18 copre i dipendenti delle pubbliche amministrazioni ma non i dipendenti delle piccole aziende

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  2. Non son paragonabili le due realta'(quella italiana e quella greca) ANCORA.
    Poi si vedra'...Perche' voi siete entrati adesso nella fase dov'eravamo noi 2 anni fa e il momento ora e' molto piu' critico ...
    Si vedra'... Pensando sempre che l'Italia non e' salvabile,se cade,cade tutta la zona euro
    Allora tifiamo tutti per l'Italia...

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