La questione della lingua greca risale all'età classica, epoca in cui molti scrittori vollero usare, per motivi culturali e nazionalistici, una lingua arcaicizzante col conseguente abbandono della coeva Κοινή, lingua da considerare il punto di partenza per la storia della lingua greca medievale e moderna.
Anche nel periodo Bizantino e nei primi secoli dell’occupazione Turca, la lingua scritta è arcaicizzante e vede la contemporanea presenza di una lingua orale comune (che in realtà si differenzia di regione in regione).
Verso la fine del XVIII sec. cresce sempre più una coscienza nazionale che, insieme al problema della liberazione dai Turchi, fa sentire con crescente insistenza, la necessità di avere una lingua nazionale.
Ma quale dovrebbe essere questa lingua unificatrice, dal momento che nel territorio ellenofono coesistono molte varietà della stessa lingua?
Nascono diverse fazioni, tra le quali ne emergono principalmente due, che svolgeranno un ruolo decisivo nell'evoluzione della lingua: l’una propone una lingua pura, la cosiddetta katharèvusa (καθαρεύουσα) ovvero una lingua vicina a quella classica e purificata da elementi dialettali e turchi; l’altra sostiene, invece, la lingua del popolo ossia la dimotikì (δημοτική), la lingua comune e basata su idiomi del Peloponneso. La katharèvusa è una variante linguistica artificiale, perché è stata creata a tavolino, mentre la dimotikì è la lingua del popolo, che assume una grande valenza politica, perché è la lingua utilizzata anche dai combattenti per la lotta di liberazione dalla turcocrazia.
Quando nel 1833 fu proclamato lo Stato greco, la dimotikì è la lingua parlata nella quotidianità ossia la lingua che il popolo usa da secoli ed è l'evoluzione del greco classico. L'affermazione della dimotikì incontra, però, la tenace opposizione della classe dirigente, che adotta ancora la katharèvusa nell’illusione di poter ricondurre la nuova nazione agli antichi splendori della civiltà classica.
Le due posizioni portano a un inasprimento della questione linguistica, con contrasti molto violenti, talvolta persino sanguinosi.
Alla fine del XIX sec. nasce una nuova classe borghese composta da letterati e critici, che si interessano allo studio della lingua greca e rivalutano l’importanza della lingua orale e delle tradizioni popolari.
Nel 1888 viene pubblicato il primo vero romanzo scritto in dimotikì: Το ταξίδι μου (Il mio viaggio) di G. Psichàris, romanzo che provoca forti reazioni, anche di condanna.
Nel 1917 viene, finalmente, permesso l’insegnamento della dimotikì nelle scuole elementari, pur sempre, però, accanto alla lingua dotta, la katharèvusa, che continua a essere l'idioma ufficiale: si perpetua, così, la difficile questione della diglossia.
Negli anni successivi, si manifesta un’alternanza di sconfitte e vittorie per le due fazioni linguistiche: nel 1964, con la riforma della pubblica istruzione realizzata da G. Papandrèu, viene stabilita l’equipollenza tra le due varianti linguistiche, ma con il colpo di stato dei colonnelli (1967) si ha una regressione e la katharèvusa è di nuovo unico strumento di insegnamento.
Solo dopo la caduta del regime (1974), la dimotikì diviene l’unica lingua ufficiale dello Stato (1976) e nel 1982 viene introdotto il sistema monotonico, che comporta la semplificazione della grafia.
La lingua greca moderna, nonostante la sua storia piuttosto travagliata, può essere considerata come afferma Petros Màrkaris “La lingua della continuità” perché racchiude in sé la memoria di circa 3000 anni di storia.
Trovo estremamente interessante questo articolo sulla lingua greca.Paola
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