E voi, conoscete questa disgustosa entità che minaccia i nostri sonni tranquilli?
Spero proprio di no, altrimenti mi auguro che abbiate le armi giuste per respingerla nella sua tana e per cadere leggeri tra le braccia di Morfeo.
Questo brano di Thanasis Papakonstantinou – titolo originale Αγρύπνια (si pronuncia Agrìpnia) – si ispira alla poesia Insomnie del poeta francese, esponente del Decadentismo, Tristan Corbière, pseudonimo di Édouard-Joachim Corbière (1845-1875).
Una piccola curiosità traduttiva:
per comporre il brano, il cantautore si basa su una traduzione greca che però è vittima di una svista partorita, forse, in una notte d’insonnia o proprio in un sogno.
Nel testo originale francese il "cetaceo" che compare nella poesia in greco è in realtà una “phalène”, ovvero una "falena". Orbene, in greco il termine “fàlena” (φάλαινα) sta per balena.
Mi piace, quindi, supporre che per uno magico abbaglio notturno la farfalla si sia trasformata in balena.
E allora, buonanotte miei cari!
Dimenticavo: vi consiglio di ascoltare il brano anche in questa straordinaria versione LIVE:
È un prolifico musicista, compositore, cantante e poeta greco, la sua musica, impregnata di tradizione e di rock, da decenni accompagna la vita di greci di varie generazioni.
I suoi concerti sono sempre affollatissimi e il suo pubblico è davvero eterogeneo: giovani, maturi, rockettari, melodici, scalmanati e meditativi, siamo tutti lì a intonare a squarciagola i suoi brani, nel sogno che quella sua esibizione non finisca mai.
Thanasis, dal carattere schivo e generoso, sul palco non si risparmia mai, come pure i suoi musicisti, tanto che i suoi concerti possono durare anche più di due ore!
Il suo canto ha uno stile narrativo e i suoi testi poetici si nutrono anche di storie provenienti dalla tradizione popolare greca, custodendo parole antiche, rare, con radici lontane.
Vi racconto un aneddoto che, tra le righe, narra anche come nascono le sue canzoni.
Thanasis era andato a trovare i suoi genitori che non vedeva da diverso tempo e invece di ricevere la solita calorosa accoglienza, ottenne soltanto un secco “ciao”. I due cari erano, infatti, completamente rapiti dalla visione di una soap opera*, molto in voga in quel periodo.
Thanasis sconfortato da quel comportamento, ebbe un’ulteriore conferma dell’effetto estraniante che la TV sortisce sulle persone.
Sedutosi da un canto, immaginò che il vento dei monti scendesse a valle per portare con sé pietrisco, spine e, passando sotto la porta, per trascinare via tutto il resto.
A quel vento Thanasis Papakonstantinou darà il nome di "Πεχλιβάνης" (si pronuncia "pechlivanis"):
Guerriero**
Arriverà, una notte, da lontano
vento Guerriero
non riuscirai a dormire,
quando lo respirerai.
Avrà il timo tra i capelli,
due crani per orecchini,
e nella bocca farà roteare
ciottoli eloquenti.
Scenderà come un re,
scenderà come un lupo,
a dare colore e vita
al giardino della solitudine.
Piccole api ruoteranno
intorno alle poltrone
e l’acqua cristallina
scorrerà dal televisore
Vento sii vendicatore,
sii giocoso
e se la mia anima si annoierà
vieni e prenditela,
così che dall’alto veda
l’indolenza del mondo,
così che sia dimenticata
come la neve,
di un anno fa, sui monti.
*La soap opera in questione è Yo amo a Paquita Gallego, citata nel dialogo che introduce la canzone.
**"Πεχλιβάνης" è un termine desueto, di origine persiana, arrivato alla lingua greca passando dalla turca. Πεχλιβάνης è il lottatore e, per estensione, anche la persona coraggiosa e audace.Qui è tradotto con la parola “Guerriero” perché la sento più vicina al significato complessivo dell’originale e anche per una questione di sonorità.
Tra i frutti del lungo, appassionante lavoro di Nicola Crocetti per portare a conoscenza degli italiani la letteratura greca moderna e contemporanea, uno dei più rilevanti è senza dubbio la recente traduzione dal greco - la prima nella nostra nazione - del romanzo del cretese Nikos KazantzakisVita e imprese di Alexis Zorbàs. Questo è il titolo originale del libro apparso ad Atene nel 1946, ma Crocetti ha accettato la consuetudine d’intitolarlo come il celebre film (con Anthony Quinn, Alan Bates e Irene Papas) che Cacoyannis ne ricavò nel 1964, Zorba il greco. Lavorando su un altro fronte, Crocetti si sta anche cimentando con l'impresa di tradurre l'immensa Odissea di Kazantzakis, un poema vasto e complesso come un oceano, del quale possiamo già leggere alcuni superbi, meravigliosi passaggi nel "Meridiano" Mondadori dei poeti greci del Novecento curato dallo stesso Crocetti con Filippomaria Pontani. Sia dal romanzo che da questi brani del poema (senza dimenticare altri testi da tempo tradotti in italiano, in particolare quello da cui Martin Scorsese trasse uno dei suoi film più scabrosi, coraggiosi e intensi, L'ultima tentazione di Cristo), Kazantzakis emerge come uno scrittore di assoluta grandezza, forse il maggiore nel Novecento di lingua greca insieme a Kavafis, Kariotakis e Ritsos. Credo che solo il tempo potrà rendere giustizia all'eccezionalità della sua opera, anche se da più di mezzo secolo riflessi di essa balenano a intermittenza tra gli scenari della critica internazionale (nel 1957, poco prima della sua morte, Kazantzakis perse per un solo voto il premio Nobel, assegnato ad Albert Camus).
Riflessioni in quarantena del poeta ateniese Thomas Tsalapatis.Buona lettura.
È bello fuori...
Due mesi dopo. Con le uniche uscite per far la spesa, il giro con il cane o una boccata d’aria con il passeggino. Cosa ci resta dentro di tanto dentro? Cammini dal quartiere di Kypseli a piazza Syntagma e ci pensi. Pensi che le tue gambe non sono più abituate alle lunghe distanze e che è la prima volta che guardi così quelle strade arcinote. Con gli occhi rivolti verso l’alto, come quando visiti per la prima volta una città straniera e cerchi di vederla tutta. Ci mancava poco che non uscissi affatto. Oggi anche il tempo è grigio. Dove dirigere la propria rotta in mezzo alla pandemia? E mentre sei irrimediabilmente già fuori pensi a quanto sarà difficile tornare alla normalità e che forse non avrai più tanta voglia di uscire. E ti accorgi che siamo distanti una birra dal nostro precedente io.
Mentre pensi, senza neanche rendertene conto passi davanti ai tuoi ritrovi preferiti, abbandonati, orfani della tua tenacia nel frequentarli, sono lì in attesa, quasi in agguato. E sotto uno sguardo insonne scopri d’un tratto conoscenti, in piedi dietro le mascherine e ascolti le loro novità riducendo un po’ il distanziamento. «Pensavo di chiamarti», «Come te la passi?», «Tutto bene?». Domande generiche eppure specifiche nella loro vaghezza. Perché tutti, più o meno, viviamo versioni dello stesso tema, e a narrarci è il nostro stesso luogo. «Ci vediamo per una passeggiata all’isola pedonale o da qualche altra parte in periferia?». Sì, vediamoci.
Amici che non incontri da chissà quanto tempo – da almeno due mesi, se non molto, molto di più. Amicidall’aspetto cambiato, chi è ingrassato, chi è dimagrito, chi si è buttato sulla ginnastica. Sono cambiati, hanno tagli di capelli approssimativi, tentativi mal riusciti della loro ragazza, qualcuno si è anche rasato la testa per tagliar corto. Sono tutti cambiati e in tanti modi diversi, eppure immersi nello stesso cambiamento. «Non si può andare avanti così», «E non è ancora iniziato niente!». Un futuro sospeso. Non in attesa del suo compimento ma di una sua partenza. Di ciò che almeno somigli a un futuro. Non a una pausa o a una ripetizione, ma a un domani pienamente rinnovato.
Mi assale spesso, e con prepotenza, la nostalgia di Atene e non sapere quando poterci tornare mi fa patire ancora di più questa separazione. Le righe che di Dimitri Deliolanes ha scritto per l'elegante rivista letteraria la Nota del Traduttore acquietano la mia malinconia pur mantenendo vivo il desiderio di tornare nella mia città d'elezione.
La festa di vivere in centro
Abito a Exarchia, nel centro di Atene. Mi piace molto stare qui. In tempi normali mi divertivo tantissimo ad andare in giro a piedi, usavo la metro solo per spostamenti più impegnativi. È la festa di vivere in centro; avere il privilegio di guardare questa città antica dritto negli occhi.
Il centro di Atene è molto cambiato negli ultimi decenni. Milioni di ateniesi hanno dato retta alle mode promosse dalle TV private e sono andati a vivere in quartieri residenziali, isole desertiche e lontanissime. Ora le banche mettono all’asta le tante case residenziali non finite di pagare.
Il centro si è svuotato, molte villette antiche in stile neoclassico sono abbandonate e ora occupate da senzatetto e immigrati, quando non sono pronte a crollare. È uno strazio, tutta l’architettura greca diventa polvere ma non importa a nessuno. Ne parlo con gli amici, ma mi guardano come fossi un marziano. Forse lo sono. E continuo a passeggiare, guardare e talvolta anche fotografare questi ruderi, una volta splendidi palazzi signorili. E sogno un’Atene che non c’è più.
In questo tempo di epidemia anche Exarchia è un deserto, attraversato da qualche sparuto padrone di cane. Rari gli incontri per strada quando esco. Perché a Exarchia mi muovo fra due case. C’è quella in cui abito con la mia bella, che si chiama Gogò, e un’altra, pochi metri più in là, in cui lavoro, per usare l’espressione forte cara a D’Alema. Lo studiolo è piccolino, un pied-à-terre, come si diceva una volta, pieno di libri, ritagli, giornali vecchi, riviste, cd player e un computer, dove ora batto queste righe.
La mia routine giornaliera prevede una sessione mattutina per leggere i giornali e rispondere alle mail, intervallo per il pranzo con la fedele consorte e una sessione pomeridiana in teoria più creativa. Tutto ciò per spiegare che le mie passeggiate nel quartiere le faccio, compilando un foglietto con i miei dati. Il percorso prevede una sosta all’edicola, il periptero – per chi ha fatto il classico – per i giornali e le sigarette della signora. Non più di 200 metri due volte al giorno. Giusto per sentirsi attivi.
In questo tempo di epidemia, più che scrivere, leggo. Ho un armadio pieno di libri da leggere ma c’è qualche strano incantesimo: succede che questi libri non diminuiscono mai, al contrario, diventano sempre più numerosi. È un vero mistero. [...]
Potete continuare a leggere l'articolo del giornalista e scrittore Dimitri Deliolanes con un clic qui:La Nota del Traduttore
(Ringrazio Dori Agrosì, direttrice responsabile della rivista, per aver concesso la pubblicazione su Metafrasando)
Dimitri Deliolanes
Giornalista greco, segue l'Italia da oltre trenta anni come corrispondente della ERT (radiotelevisione pubblica greca). Ha realizzato documentari sulle relazioni tra Italia e Grecia, ha studiato la strategia della tensione e il terrorismo italiano, ha tradotto in greco diverse opere della letteratura italiana. Ha pubblicato Come la Grecia (2011), Alba Dorata (2013), La sfida di Atene (2015), Colonnelli (2019). Tutti i suoi libri sono pubblicati da Fandango. Ha scritto per Limes, il Manifesto, il Foglio e Internazionale.
Quel mattino Manolis non riusciva a darsi pace, l’immagine vista al risveglio gli era rimasta impressa negli occhi.
Quel mattino del 27 aprile 1941, i Tedeschi avevano occupato Atene e lì sulla rocca dell’Acropoli, al posto della bandiera greca avevano issato il loro drappo con la svastica.
Il simbolo nazista sventolava ora nell’azzurro cielo greco, ma la magnificenza e il candore dei marmi del Partenone non si accordavano affatto con il mortifero vessillo.
Una frase aveva preso a riecheggiare nella mente del giovane Manolis: “Ieri liberi, oggi schiavi”, e una rabbia crescente iniziò a galoppare nelle sue viscere mettendogli l’animo in tumulto.
Doveva far qualcosa. Se non lo avevano lasciato partire per il fronte albanese – era troppo giovane, dicevano – stavolta non si sarebbe tirato indietro. Cercò il suo amico e compagno di università Apostolos, Lakis per gli amici, di certo anche lui avrebbe trovato insopportabile la vista di quella svastica.
I due ragazzi presero una decisione, avrebbero strappato dal pennone l’incubo che ottundeva l’anima e il cielo del popolo greco.
Nella Biblioteca Nazionale studiarono le piantine dell’Acropoli e orchestrarono un piano di massima, sarebbero saliti dal versante nord-occidentale, forse il più riparato dalla vista delle sentinelle tedesche.
In una dolce notte di maggio, odorosa di ciclamino e di Egeo, Manolis e Lakis iniziarono ad arrampicarsi lungo le pendici dell’Acropoli. Guidati dalla luce della luna e di una piccola torcia, si inerpicarono silenziosi sino in cima tra le levigate rocce.
Coltello tra i denti, Manolis si aggrappò all’asta della bandiera e iniziò a salire, agile e deciso. Poi provò a tagliare il cordame che sorreggeva il drappo, si mise a scuoterlo ma la presa delle gambe iniziò a cedere e fu costretto a scendere. Le funi erano davvero resistenti e i nodi che le legavano ben saldi. Manolis non si arrese e subito risalì, ma anche stavolta la bandiera continuò beffarda a sventolare sul suo capo.
Ci riprovò Lakis. Avvinghiato al palo con le unghie e i denti di una volontà feroce, segò ulteriormente il cordame, lo strattonò ancora una volta e finalmente la bandiera cadde al suolo.
I due giovani la raccolsero e, tra soffocate grida di gioia, danzarono sotto la luna, protetti dalla dea Atena che li rese invisibili allo sguardo nazista.
Scivolando silenziosi tra i vicoli sonnecchianti della città, i due ritornarono a casa.
Manolis trovò la madre ad attenderlo in cima alle scale: «Dove sei stato fino a quest’ora, pedì mu?», esclamò preoccupata.
Manolis abbracciò la donna, le mostrò un brandello del suo trofeo e senza aggiungere altro andò a dormire, ormai quella furia del mattino aveva smesso di scalciare nelle sue viscere e nel suo cuore galoppava ora una potente emozione.
Anche il cuore di sua madre ebbe un sussulto, per via di un sospetto. La donna corse al balcone, guardò verso l’Acropoli e poi orgogliosa e commossa richiuse le imposte.
Qualche tempo fa ho tradotto e narrato in alcune scuole certe bizzarre favole di Pavlina Pampoudi, prolifica scrittrice e poetessa greca dalla vena autoriale molto originale.
Pavlina ha scritto centinaia di favole, curiose e bizzarre appunto, forse persino bislacche, ma proprio per questo amate dai bambini, creature naturalmente predisposte alla sospensione dell’incredulità.
Certi adulti vi ci vorrebbero rintracciare una logica, una morale, quando invece ai bambini piace lasciar sciolte le briglie della fantasia: ecco, le favole di Pavlina Pampoudi stimolano proprio questa libertà.
Ricche di simboli e storie che affiorano anche dal mondo antico e dal mito, queste favole greche solleticano interrogativi sempre attuali, coi quali, se ben disposti al gioco, ci si può divertire e sorprendere.
Raccomandazioni: Favole da leggere da soli ma soprattutto in compagnia
Ho conosciuto il tuo nome attraverso le parole di un uomo che da adolescente, come eri tu, si innamorò di te, sul ponte di un traghetto che lento attraversava l’Egeo.
Mi scriveva che dopo tanti anni ti ricordava ancora e che ora ti cercava, anche nei versi delle tue poesie.
Non sapevo nulla di te, né credevo di volerne sapere.
Poi ho visto il tuo volto in quattro polaroid e un sorriso tra i monti, che si distende libero come ali di libellula e rivela candide file di perle; ho visto il tuo sguardo di seta lucente e di lama dorata. Il tuo splendore e l’anno di nascita in comune tra noi, mi hanno spinta a cercarti.
E allora ti ho inseguita tra le carte e i racconti di chi ti ha amata sopra a ogni cosa. Ho saputo della tua smisurata sete di vita.
Con tenacia, passione e talento, instancabile ti sei dedicata agli studi di Arte Drammatica e di Psicologia – ad Atene e a Berlino –, alla regia, alla recitazione, al teatro, alle traduzioni, alla poesia.
Hai amato e sei stata molto amata.
«Con Eleftherìa ogni cosa diventava possibile. Ogni idea, per quanto sulle nuvole all'apparenza, riusciva a essere messa su carta, sulla scena, sullo schermo», dice di te Alexis.
E in pochi anni hai fatto quanto altri non fanno in un’esistenza intera. E che strano, te ne sei andata proprio quando io sentivo che la mia vita non era ancora iniziata.
Te ne sei andata troppo presto e senza alcun preavviso. O meglio, un Charos distratto o forse annoiato ha deciso di portarti via, sorprendendoti alle spalle sul palco dell’Amore, il tuo teatro.
8 dicembre 1911 nasce Nikos Gatsos, poeta, paroliere e traduttore greco.
In piena guerra, nel 1943, Gatsos pubblica “Amorgòs”, plaquette di sette brani che conciliano la composizione surrealista con la tradizione.
[…]Così in un orcio profondo l’uva si secca e sul campanile di un fico ingiallisce la mela Così con una cravatta appariscente Nella tenda della pergola respira l’estate Così dorme nudo un mio tenero amore tra i bianchi ciliegi Una ragazza immarcescibile come ramo di mandorlo Col capo chino sul gomito e la mano sul pube Nel suo calore mattutino quando piano piano come un ladro Dalla finestra della primavera entra Lucifero a svegliarla!
(Traduzione di F. Pontani, da “Poeti greci del Novecento”, “I Meridiani” Mondadori, 2010)
La vena poetica di Gatsos confluirà per lo più nei versi di numerose canzoni, che, seppur appartenenti a un'epoca lontana, rimangono tutt'oggi indelebili nella memoria del popolo greco.
Una su tutte ricordo “Chartino to fengaraki” (Luna di carta). Il brano nasce dalla forte amicizia e dalla proficua collaborazione artistica tra il poeta e Manos Chatzidakis, uno dei più grandi compositori del Novecento.
Non c’è greco che non conosca i versi e le note di “Chartino to fengaraki”, canzone scritta per l’opera di Tennessee Williams "Un tram chiamato Desiderio" e messa in scena ad Atene nel 1949, per la regia di Karolos Koun e l’interpretazione della straordinaria Melina Merkouri.
Il mare porterà con sé uccelli
e il vento stelle dorate
per carezzare i tuoi capelli
per baciare le tue mani.
Una luna di carta
una spiaggia fasulla
se mi avessi creduto almeno un po’
sarebbe stato tutto vero.
Senza il tuo amore
il tempo non passa mai
Senza il tuo amore
il mondo più piccolo appare...
("Χάρτινο το φεγγαράκι", "Luna di carta", traduzione di Viviana Sebastio)
“Chartino to fengaraki” è stata, e lo è tuttora, cantata da molte altre grandi interpreti, come Nana Mouschouri, Arleta, Lena Platonos, Eleonora Zouganeli e altre ancora.
Chi di voi è stato in Grecia avrà sentito, almeno una volta, i suoi versi e le sue note uscire dalle casse di una radio o intonate dalla voce di un passante in strada.
Seguendo questo questo LINKpotrete ascoltare alcuni dei numerosi brani scritti da Nikos Gatsos.